domenica, dicembre 01, 2013

A qualcuno piace tiepido

La ragione spesso sta nel mezzo ma non solo: spesso nel mezzo c'è anche la possibilità di creazione, di vita, di intelligenza. E noi alberghiamo proprio li, nella via intermedia tra il gelo siderale dello spazio vuoto e le sorgenti di reazioni nucleari che sprigionano energie a milioni di gradi, energie ancora figlie del big bang e delle sue conseguenze. 
Quindi, quando dico nel "mezzo", intendo a metà non solo in senso di distanze astronomiche ma anche considerando il tempo, proprio quello che è trascorso dalla creazione iniziale a quello che ci separa probabilmente dal graduale raffreddamento dell'Universo.

In pratica abbiamo fatto bingo due volte, perché la nostra esistenza dipende fondamentalmente dal fatto che ci troviamo in un posto ed in un periodo tiepido rispetto a tutto ciò che ci circonda, rispetto a ciò che è stato e che sarà: è pur vero che se così non fosse noi umani non saremmo qui a gloriarci di tanta fortuna, ma è anche interessante riflettere su come la nostra intelligenza ci abbia permesso di comprendere quanto sia speciale il luogo ed il tempo che viviamo.
Godiamoci quindi ancor di più questo tepore spazio-temporale alla faccia della crisi e di qualche extraterrestre meno fortunato.

sabato, novembre 02, 2013

Non siamo altro che avanzi riciclati

Chissà perché, quando pensiamo alla creazione della materia in generale ma nello specifico a quella che ci compone, abbiamo una immagine di genesi primordiale, come se scaturissimo dal nulla o comunque come se si potesse generare materia, animata od inanimata, senza attingere da qualcosa di preesistente. 
La realtà invece è che gli atomi che ci compongono sono vecchi di miliardi di anni e nella loro infinita storia sono stati parte di nebulose galattiche, stelle, supernove, meteore, pianeti, vulcani e chissà cosa altro di meno nobile.

Non è errato quindi affermare che siamo fatti di materia riciclata, gettata nel cesto (quello grande) dell'umido interstellare, per poi essere riutilizzata all'occorrenza nel plasmare tutto ciò che possiamo osservare compresi noi stessi. Quindi dovremmo allargare la lista delle possibili reincarnazioni e soprattutto delle vite precedenti:

probabilmente in passato sono stato una stella degenere, subito dopo una cometa per poi diventare una meteora ed infine una piccola porzione di mare qui sulla Terra, ma soprattutto non ho idea di che cosa diventerò dopo, anche se sicuramente una parte dei miei atomi di ossigeno e di idrogeno torneranno evaporando in atmosfera e quindi facilmente sarò una nube.

 Un fondo di verità quindi anche nella teoria della reincarnazione, si ma quella atomica.

venerdì, novembre 01, 2013

Invecchiare per non morire o morire per sopravvivere?


Nella inconclusa (ed inconcludente) lotta contro l'invecchiamento c'è una profonda misconoscenza dei principi che permettono all'Uomo ed all'Universo di esistere e sopravvivere.

Il principio naturale alla base di ciò che siamo e che saremo, è quello del continuo aumento del disordine: senza tale disordine non si sarebbe creata la varietà di materia ed energia, di galassie, di stelle ed infine di pianeti adatti ad ospitare la vita, e senza il caotico susseguirsi di generazioni di minuscole creature in ascesa evolutiva, noi non saremmo mai arrivati a vedere la luce, ne come singoli ne come umanità.

Ora qualcuno vorrebbe immaginare una generazione di highlanders geneticamente modificati in grado di vivere per secoli, ma anche solo lo squilibrio tra la velocità di invecchiamento di diverse specie potrebbe rivelarsi fatale per il nostro futuro; se è vero che i batteri evolvono molto velocemente, creando nuove varietà con caratteri genetici diversi in brevissimi periodi, è anche certo che l'uomo continua a rallentare la sua ascesa genetica allungando la durata media della propria vita, e prima o poi si incontreranno generazioni di nuovi batteri e di vecchi (geneticamente) uomini con le conseguenze che si possono immaginare e che forse alcuni medici cominciano già a rilevare.
Prima o poi dovremo fare i conti con la nostra egoistica smania di sopravvivenza, che come istinto primordiale ci ha permesso di evolverci come specie, ma che declinato nella versione soggettiva diventerà presto il nostro tallone di Achille.

domenica, settembre 15, 2013

Le stelle innamorate


I sistemi binari in astronomia rappresentano delle accoppiate di stelle o altri oggetti che essendo a distanza ridotta finiscono per attrarsi reciprocamente in modo che l'una giri attorno all'altra:
non come la Luna e la Terra per cui la piccola massa della prima lascia il centro di gravità tutto alla seconda, ma in equilibrio danzando in tondo in un balletto ciclico.
Proprio come due innamorati prima si cercano, si sfiorano e poi allentano la presa, il vorticoso girotondo delle due stelle può essere anche molto pericoloso soprattutto per una delle due:
infatti se l'attrazione gravitazionale della stella più densa è abbastanza potente, può lentamente strappare materia alla vicina, rendendola nel tempo sempre meno brillante e facendola infine morire.
Proprio come l'amore anche il gioco delle coppie stellari è appeso al filo dell'equilibrio e per durare i due corpi celesti devono avere "caratteri" simili.

sabato, agosto 31, 2013

Relativamente alla relatività (parte 2)

L'ostacolo maggiore al progresso scientifico è stata la superbia dell'uomo: fino a quando filosofi e pensatori hanno immaginato di essere inevitabilmente il centro dell'universo e che, a causa della creazione divina tutto fosse stato concepito a loro uso, la verità sulla natura relativistica del mondo che ci circonda è rimasta celata per secoli. Solo le grandi menti rivoluzionarie, in avversione al pensiero dominante, sono riuscite a scardinare i preconcetti umano-centrici: Galileo, Newton ed Einstein sono solo gli esempi più eclatanti di queste eversioni.
Ripercorrendo la lunga strada che ci ha portato al progresso attuale, proverò a fare un brevissimo sunto delle tappe fondamentali.

1) Il principio di 'relatività del movimento' fu esposto da Galileo nel "Dialogo sui due massimi sistemi del mondo" dove viene messa in luce la possibilità di effettuare esperimenti in modo analogo in sistemi di riferimento inerziali diversi; in pratica non si può, effettuando qualsiasi prova, definire se ci si trovi su una piattaforma ferma od in movimento a velocità costante. Quindi la Terra potrebbe essere ferma rispetto all'universo oppure l'universo fermo rispetto alla Terra, ma ciò non avrebbe alcuna importanza in termini relativistici.

2) Il principio di invarianza di Newton approfondisce i temi galileiani e formalizza le trasformazioni da sistemi inerziali diversi; inoltre con la gravità si sancisce il fatto che ogni corpo attrae gli altri, cioè anche la mela che cade in modo impercettibile attira a se la Terra, e quindi, nello spazio, non ci sono punti gravitazionali privilegiati.

3) La relatività ristretta distrugge l'assioma newtoniano del tempo assoluto. Ogni corpo che viaggia a velocità costante, qualsiasi essa sia, deve vedere il raggio di luce muoversi alla velocità limite della luce stessa: la conclusione è che per mantenere invariata tale costante, lo spazio-tempo si deve poter dilatare e contrarre di conseguenza.


4) La relatività generale è la derivazione del principio di equivalenza: se un uomo non può distinguere il fatto di trovarsi all'interno di una cabina sparata verso l'alto con accelerazione 'g' oppure di essere nella stessa cabina ma fermo sulla terra sottoposto alla forza gravitazionale 'g', allora le due situazioni devono essere equivalenti:  in pratica non si può, effettuando qualsiasi prova, definire se ci si trovi sulla cabina sottoposta a gravità o quella sparata nel vuoto.  La conseguenza è che se un raggio di luce che attraversa la cabina accelerata entra da un punto per poi curvare all'interno della cabina ed uscire da un punto più in basso (a causa del moto in direzione della accelerazione), allora anche l'osservatore nella cabina ferma ma sottoposta al campo gravitazionale dovrà osservare il raggio di luce curvarsi (lo spazio è curvo in prossimità dei campi gravitazionali).

venerdì, luglio 26, 2013

precipitando nel futuro (versione pizza)

Cadere nel vuoto di un burrone di cui non si intravede la fine, è la sensazione che dovremmo avere guardando il tempo trascorrere e l'Universo evolversi; il bigbang rappresenta il fulcro dal quale siamo stati sganciati in questa folle corsa che ci vede calare a velocità inimmaginabile in un destino ancora incerto. Ma esisterà un fondo a questo precipizio? E la velocità di caduta sarà sempre la stessa? Qualcuno mi a chiesto perché il piatto dell'universo dovrebbe precipitare e non per esempio salire verso l'alto: si tratta solo di un immagine per trasmettere la sensazione di un movimento non facilmente frenabile e ancor di più impossibile da ribaltare proprio come la caduta di un oggetto nel vuoto.

Nella realtà sappiamo che tutto è cominciato con il bigbang ed un piattino piccolissimo, infinitesimo: come questo protouniverso sia stato scagliato fuori dal nulla e come una qualche energia lo stia sospingendo verso il futuro, questo ancora esattamente non lo sappiamo; sappiamo però che il piatto ha cominciato a crescere, e le sue dimensioni in poco tempo si sono decuplicate e poi centuplicate e cosi via, fino ad arrivare alle dimensioni attuali. In questa enorme espansione è stata creata e sparsa la materia ma soprattutto sono stati creati spazio e tempo, in modo continuo ed uniforme, come ancora tutt'ora sta avvenendo.
Come è possibile che si continui a creare del nuovo spazio (ed incredibilmente anche del nuovo tempo) apparentemente dal nulla? Proviamo a spingere la nostra immaginazione ancora oltre e trasformiamo il piatto in un disco di pasta per la pizza prima che venga infornata:
condiamo il tutto con qualche oliva qua e la, ed ecco il nostro universo pronto nuovamente a precipitare verso il futuro.



In modo inaspettato, ed inspiegabile, la caduta nel vuoto fa lievitare la pasta che lentamente cresce di volume in tutte le direzioni; le olive, che nella realtà trovano corrispondenza con le galassie sparse per l'universo, iniziano inesorabilmente ad allontanarsi l'una dall'altra.
Ad oggi è ancora questo che osserviamo scrutando il cielo e, misurando gli spostamenti, rileviamo che tutte le galassie si stanno allontanando dalla nostra.

Ma le olive, cioè le galassie, non lievitano anche loro? Le olive per fortuna hanno un altra consistenza ed il processo di lievitazione non le tocca dall'interno cosicché rimangono unite e ben distinte dalla pasta. Nella mia fantasiosa similitudine però accade un fenomeno che nella realtà fisica non è mai stato osservato e probabilmente è solo una mia speculazione: la pasta dell'immagine sopra, che rappresenta l'evoluzione dello spazio-tempo, man mano che lievita è sempre meno densa a causa del continuo stiramento nelle varie dimensioni. E' possibile che quello che ad oggi viene considerato solo un concetto topologico e geometrico (seppur in quattro dimensioni) possa avere avuto caratteristiche variabili durante la sua evoluzione? In altre parole potrebbe esistere una densità dello spazio e del tempo e questa densità potrebbe non essere omogenea in tutto l'universo?

giovedì, luglio 11, 2013

Precipitando nel futuro

Il "tempo vola", aggiungerei inesorabilmente: a volte si dice proprio per sottolineare che possiamo fare ben poco nei confronti del meccanismo che fa marciare l'Universo nella direzione in cui punta la freccia del tempo e cioè il futuro. Abbiamo visto però che questa andatura non è per tutti la stessa, ed alcuni oggetti trascorrono il loro tempo in modo rallentato rispetto ad altri. E' stato difficile, fino alla scoperta di Einstein, capire che poteva esserci un tempo soggettivo in quanto le leggi che regolano il nostro mondo macroscopico non sono quasi influenzate dagli effetti relativistici ed i fisici, prima del ventesimo secolo, avevano già spiegato il mondo in modo esaustivo per le loro esigenze: erano semmai i piccoli particolari ad avere nelle loro inspiegabili anomalie il seme della rivoluzione scientifica.

Una volta misurata la velocità della luce e scoperto che questa era una costante, per qualsiasi osservatore, in qualsiasi sistema di riferimento, da qualsiasi prospettiva, fu allora che si dovette cedere all'evidenza: lo spazio ed il tempo devono potersi contrarre o dilatare per permettere alla luce di avere sempre la stessa velocità. Pensare agli effetti della relatività in termini strettamente matematici però è complesso ed a volte non da la sensazione di come tutto ciò possa accadere.
Per avere una idea del tempo che scorre e della insuperabilità  della velocità della luce vorrei proporvi questa immagine: pensiamo al nostro Universo come ad un piatto che precipita nel vuoto, ed immaginiamo che questa caduta rappresenti il passare del tempo.

Se guardiamo il piatto durante la sua caduta vedremmo che ad ogni istante il suo contenuto si evolve in modo del tutto indipendente dalla caduta stessa, caduta che gli abitanti del piatto percepiscono solo come scorrere del tempo, mentre si muovono liberamente sulla sua superficie: cosa accade però se un oggetto si muove all'interno del piano ad una velocità prossima a quella del piatto in caduta?

Mentre per le entità che si muovono lentamente vedremmo delle traiettorie pressoché diritte, quelle con velocità sostenute, o meglio confrontabili con la velocità di caduta del piatto stesso, compieranno traiettorie inclinate nel passaggio tra un istante e l'altro: cosa sta accadendo? In pratica le traiettorie rappresentano il moto degli oggetti nello spazio-tempo e siccome le traiettorie inclinate sono sicuramente più lunghe di quelle verticali, il tempo, agli occhi degli osservatori esterni, è anch'esso più lungo e cioè trascorre più lentamente (sempre che l'oggetto debba rimanere a bordo del piatto e cioè continuare ad esistere nell'universo, condizione a cui non ci possiamo sottrarre).

Per rendere meglio l'immagine lasciamo perdere il fatto che la caduta rappresenti il tempo e pensiamo che sia un normale spostamento nello spazio: quando osserviamo un oggetto che si sta muovendo circa alla nostra velocità ma con una traiettoria inclinata rispetto alla nostra, quello che percepiamo è che l'oggetto sia più lento, fino al caso estremo in cui l'oggetto si muova perpendicolarmente alla nostra posizione, caso in cui addirittura ci sembrerà fermo (nel caso del nostro schema si tratterebbe di oggetto che si muove a velocità infinita): in pratica chi viaggia a velocità prossime a quelle della luce è come se avesse una traiettoria inclinata rispetto a noi che siamo fermi o che ci muoviamo a basse velocità e quindi apparirà al nostro sguardo viaggiare nella direzione tempo a velocità inferiore alla nostra.

Altre conseguenze di questo modello è che non è possibile viaggiare sul piatto ad una velocità superiore a quella della caduta del piatto stesso (il che è rappresentato da una pendenza limite della freccia inclinata), pena l'uscita dal piatto e la non appartenenza al piccolo universo di porcellana ed, in ultima analisi, che il viaggiatore ad alta velocità alla fine arriverà comunque sul piatto all'istante successivo (nel disegno istante 1) ed a sua volta osservando che il tempo per l'oggetto fermo trascorre più velocemente.
La cosa strabiliante che tutto ciò dipende dalla velocità a cui il piatto precipita e cioè la velocità della luce nel vuoto; in poche parole il nostro Universo è in caduta libera verso il futuro e possiamo  solo ingannarci pensando di rallentare la caduta, mentre la realtà è che sarebbe più corretto dire che il tempo non vola ma che precipita inesorabilmente.

domenica, luglio 07, 2013

decoerenza temporale

Trovare un immagine per visualizzare ciò che accade tra le pieghe del nostro Universo quadridimensionale è cosa complessa ma non impossibile; tutt'altra astrazione mentale ci vuole per immaginare un Universo ad undici dimensioni come quello teorizzato dai fisici delle stringhe, ma "fortunatamente" per ora non esistono prove sperimentali di queste recenti teorie, mentre abbiamo numerosi riscontri pratici del fatto che le tre dimensioni spaziali ed il tempo siano interconnessi per formare un continuum spazio-temporale, un unica trama nella quale le entità cosmiche si muovono seguendo leggi prefissate.


Se volessimo semplificare al massimo il comportamento degli oggetti fisici all'interno di questo reticolo potremmo iniziare a pensare ad un telo teso, che pur essendo bidimensionale può rappresentare le tre dimensioni spaziali (facciamo finta di dimenticare l'altezza e pensiamo che il mondo sia piatto); questo telo a sua volta ha infiniti teli paralleli, ognuno dei quali rappresenta un istante successivo (i teli sottostanti) o precedente nel tempo (i teli sovrastanti).
Le minuscole entità del microcosmo, diciamo per semplificare le particelle elementari, se ne stanno volentieri sul telo di partenza, muovendosi su di esso a velocità elevatissima, toccando la punta massima della velocità della luce (inizialmente completamente prive di massa come i fotoni). Il problema è che alcune particelle, muovendosi sul telo, incontrano dei "pelucchi" (campo di Higgs) che tendono ad appiccicarsi: in questo modo acquisiscono massa e peso e quindi cominciano a deformare il telo e più la deformazione aumenta e più altre particelle vengono inghiottite (gravità).

Il fatto è che il telo è elastico e le sue maglie sono deformabili cosi che appena la massa lo permette, l'oggetto, attraversando il tessuto stressato (ma non rompendolo), cade sul telo sottostante e così via: il risultato è che maggiormente un oggetto possiede massa e più si muove lentamente tra le coordinate spaziali (scivola lentamente sul telo) e più precipita  velocemente da un telo sottostante all'altro (e quindi il tempo per l'oggetto trascorre più velocemente); inoltre a massa maggiore corrisponde una deformazione del tessuto spazio-temporale più grande con tutte le conseguenze che abbiamo già affrontato parlando di relatività generale perché gli oggetti che passano lungo le deformazioni del telo non si trovano più sullo stesso piano temporale e quindi il loro tempo è modificato (rallentato).

Siccome le maglie del tessuto non sono poi così rigide, la maggior parte degli oggetti che siamo abituati a vedere, cadono verso gli strati sottostanti a grande velocità e di conseguenza tendono a muoversi sulla superficie del telo molto lentamente, ed ecco perché abbiamo la sensazione di stare tutti sempre sulla stessa superficie e che esista un unico istante uguale per tutte le entità fisiche;
solo avendo abbastanza energia per accelerare un oggetto in modo che scivoli sul telo e non cada di sotto, possiamo accorgerci che quest'ultimo rimane leggermente indietro sui teli precedenti mentre noi cadiamo inesorabilmente nel futuro.
L'altra caratteristica fondamentale di questo modello mentale è che possiamo solo scivolare nel futuro e non abbiamo nessuna possibilità di arrampicarci indietro sui teli del passato.

domenica, giugno 30, 2013

Il paradiso degli scienziati (parte 2)

Erano circa due anni che sul comodino nella stanza da letto mi faceva compagnia un libro di Margherita Hack, "Notte di stelle", e non perché ci fosse voluto tutto questo tempo per leggerlo, ma perché era diventato uno di quegli oggetti che colmano il vuoto, soprattutto per quel faccione simpatico che riempe la copertina; può sembrare uno di quei segni del destino, a cui la scienziata proprio non ha mai voluto credere, ma soli tre giorni fa avevo ritirato finalmente il libro al suo posto, in mezzo agli altri, a prendere polvere.

Troppo facile dire che adesso ci osserva dalle stelle, che ora anche Margherita è diventata una luce che brilla nel cielo, che la sua anima vaga tra gli astri; molto più difficile affrontare ciò che la Hack ha voluto dirci ed insegnarci lungo tutta la sua vita di atea convinta e cioè che non si può affermare che esista qualcosa al di fuori di ciò che possiamo osservare e misurare. Questo atteggiamento non voleva dimostrare l'assenza di una visione spirituale del mondo e dell'essere umano, ma indicava un punto di partenza nella ricerca che ognuno di noi deve compiere per capire chi siamo e dove andiamo.

"Non penso a un paradiso come ad un condominio" aveva detto con la sua solita ironia, interpellata sul argomento: ora lei lo sa com'è fatto il paradiso ed immagino che se ne avesse la possibilità tornerebbe indietro anche solo pochi istanti per raccontarcelo, ma mi accontenterò di comprare un altro libro e di tenermelo altri due anni a farmi compagnia sul comodino.

domenica, maggio 26, 2013

Prima o poi, no adesso!

Cogliere l'attimo, si dice per approfittare di un occasione: ma quale attimo? 
L'attimo potrebbe rappresentare l'inafferrabile presente che, come si cerca di congelare, è già passato; infatti tutto ciò che vediamo e facciamo è una risposta ritardata a quello che è appena accaduto, in conseguenza al fatto che l'immagine che percepiamo del mondo intorno a noi ci è trasmessa grazie al riflesso della luce sugli oggetti, che sappiamo non essere istantanea ed avere un ritardo prima di giungere ai nostri occhi: quindi il nostro sguardo è sempre rivolto a qualcosa di già  trascorso e quindi al passato. Per fortuna la luce, pur essendo non istantanea, è molto più veloce di qualsiasi cosa solitamente maneggiamo e quindi il problema del ritardo non influisce sulle nostre vite e sulle nostre osservazioni e su quelle degli scienziati, esclusi naturalmente i fisici dei quanti.

Quindi la nostra vita scorre in bilico nel presente, nella direzione della cosiddetta freccia del tempo cioè dal passato verso il futuro e sebbene a livello macroscopico tutto questo ci sembri naturale in realtà ci sono molti interrogativi aperti: perché la freccia ha proprio quella direzione? E quindi perché ci ricordiamo il passato e non il futuro? Poi secondo la relatività generale la differenza tra passato presente e futuro è solo un illusione ed il passato di un osservatore potrebbe coincidere con il futuro di un altro. Insomma c'è da fondersi il cervello nel cercare di estrapolare dalla nostra conoscenza quotidiana una esperienza che ci avvicini in qualche modo ad una realtà così sfuggente come quella del tempo.

Lungi da me classificarmi come un determinista, ma esiste una correlazione con la freccia del tempo ed il pensiero secondo il quale, conoscendo tutti i parametri iniziali di un sistema, si possa prevederne esattamente l'evoluzione, perché se ciò corrispondesse a verità (anche per un sistema complesso come un essere vivente) si potrebbe infine dire di poter immaginare (o ricordare) il futuro: non ci facciamo più caso ma in diverse scienze questi risultati si stanno realizzando, anche se in modo frammentario, promettendo di dirci come sarà il nostro futuro; dalle previsioni del tempo alla ricerca genetica sono molti i campi in cui si riesce a buttare un occhio a ciò che accadrà con lo scorrere del tempo, anche se, a mio avviso per fortuna, sono ancora lontani i giorni in cui potremmo dire "ti ricordi come sarai tra 10 anni?".

venerdì, maggio 10, 2013

Un brivido dall'Universo

Se dovessi definire con una parola tutto ciò che mi circonda direi immediatamente "vibrazione".
I suoni, la luce, il movimento, gli stessi atomi esistono perché esiste la vibrazione, o meglio la possibilità di cambiare in modo ripetitivo e ciclico il proprio stato: il mondo che conosciamo non è altro che la complessa combinazione di cicli di vibrazione diversi e con frequenze eterogenee, dai quali prende vita il balletto del cosmo.

Non è un caso allora che una delle teorie più promettenti nella descrizione completa ed unificata dell'Universo sia quelle delle Stringhe: per farla molto ma molto breve, ogni minuscolo pezzo di materia od unità di energia, non sarebbe altro che il risultato di una minuscola corda oscillante che in base al modo di vibrazione darebbe vita alla varietà di particelle che osservano gli scienziati negli acceleratori come quello del CERN.
Una teoria affascinante, che riporterebbe tutta la creazione ad un unica invisibile (per dimensioni) entità, la stringa o come più recentemente teorizzato una membrana multidimensionale, dalla quale poi creare, vibrando note diverse, i diversi mattoncini che ci compongono, proprio come una corda di un violino emette suoni differenti se pizzicata a dovere; quindi anche per le stringhe la vibrazione sarebbe fondamentale.
Rimane comunque aperta la solita matriosca che ci indurrebbe a porre subito la questione sull'origine della vibrazione della stringa, ma qualsiasi teoria prendessimo come riferimento si avrebbe il problema di rivelare un mistero ad un livello ancora più profondo e quindi dovremmo comunque fermarci all'attimo della creazione, al momento del Big Bang; ed è proprio l'eruzione di materia primordiale ad affascinarmi nel successivo speculativo ragionamento.
Se quelli che chiamiamo energia e materia, che sappiamo essere due facce della stessa medaglia (o dovrei dire due estremità della stessa corda), si trovano ancora dopo miliardi di anni accelerati a seguito del primo grande Bang, lo spazio ed il tempo (che sappiamo essere interagenti tra loro) originati in quello stesso istante, quale caratteristica possono aver plasmato come reazione alla loro stessa creazione?
Einstein ci ha aiutato a capire come il tessuto spazio-temporale si deformi sotto il "peso" della gravità (come un telo teso sul quale appoggino delle bocce) ma tale effetto si manifesta in termini macroscopici ed è tra le pieghe del lenzuolo, quelle minuscole, che ancora nessuno è riuscito a guardare; ciò significa che siamo in possesso di un modello dello spazio-tempo molto preciso a larghe scale ma che ignoriamo se ci siano altri comportamenti od interazioni alle scale atomiche.
E se dovessimo ipotizzare una caratteristica del tessuto quadridimensionale in cui siamo immersi, quale sarebbe più appropriata di una vibrazione? Sarebbe ipotizzabile che, come un lenzuolo scosso ad una estremità, lo spazio-tempo sia in vibrazione fin dall'origine a causa stessa del Big Bang?
Domande che sarebbero da porre a fisici teorici esperti ma alle quali suppongo sarebbe comunque difficile dare una risposta visto che è stato già molto arduo dimostrare sperimentalmente le impercettibili curvature originate dalla relatività generale che comunque hanno scale cosmologiche.
Mi diverto comunque ad immaginare delle analogie tra la funzione d'onda degli elettroni e la fantomatica vibrazione dello spazio-tempo oppure speculando su di un universo in cui siano i nuclei massivi a  vibrare agganciati al lenzuolo e gli elettroni fermi ed immobili ad osservarne la danza.



domenica, aprile 14, 2013

Fotografando il vuoto

Ne ho già parlato ma è un mistero così avvincente che fin dalle origini della civiltà moderna filosofi, scienziati, pensatori non hanno fatto che cercare di capire che cos'è e che cosa rappresenti il vuoto; fin da Aristotele l'horror vacui ha rappresentato l'interpretazione di un concetto così elusivo che è sembrato più facile spiegare come la materia si comportasse per colmarlo piuttosto che immaginare cosa potesse essere il vuoto nella tangibile realtà.

Superando però la definizione che ci porterebbe fuori strada, il vuoto sicuramente non è l'assenza completa di qualsiasi cosa: ad esempio non è assenza di tempo, non assenza di interazione, e soprattutto non è assenza di campo (magnetico, gravitazionale, etc): il vuoto quindi non è il nulla.

La meccanica quantistica ha interpretato il vuoto tramite le equazioni e ne è scaturita una visione incredibilmente dinamica ed energetica, una continua microscopica annichilazione di materia ed antimateria così veloce da essere per noi impossibile da percepire visto che avverrebbe nell'ordine del tempo di Planck; esiste però un esperimento che proverebbe che la schiuma quantistica pervade effettivamente il vuoto, anche se rimane un principio controverso: l'effetto Casimir.
Quindi sappiamo che il vuoto non è il nulla perché, per esempio, le onde radio non potrebbero propagarsi nello spazio se quest'ultimo non avesse delle proprietà specifiche, oppure la luce delle stelle non giungerebbe fino a noi dopo aver solcato l'abisso di vuoto che ci separa se lo spazio intergalattico non possedesse caratteristiche peculiari.

Rimane comunque difficile immaginare come ciò che per noi sia percettivamente l'assenza totale, invece rappresenti una solida base per l'esistenza dell'universo ed allora dobbiamo spingerci a formulare delle analogie che ci aiutino a superare i nostri preconcetti. Proviamo ad immaginare di appartenere ad un film e che tutto ciò che ci circondi sia solo ciò che scorre su di una pellicola cinematografica: in questo modo la nostra esistenza sarebbe dettata dalla presenza della luce che impressiona la pellicola e dalla pellicola stessa. Se pero eliminiamo la luce rimane solo la pellicola nera che è pur fondamentale per l'esistenza del film ma che per un virtuale abitante che esiste nel solo mondo delle pellicole, apparirà come il vuoto quando questa non sarà stata impressionata dalla luce. Esiste anche una rappresentazione tridimensionale di questo concetto che possiamo chiamare teoria olografica, ma il principio su cui riflettere è che il vuoto rappresenta il supporto sul quale la materia, l'energia, i campi e l'intero universo si poggiano ed anche se forse non ne possiamo comprendere i meccanismi non dovremmo averne così timore.

domenica, aprile 07, 2013

Che rottura... di simmetria

Uno dei motivi che spinge i ricercatori a trovare dei principi unificanti delle leggi fisiche è la convinzione che il modello del Big Bang sia corretto e che quindi se il "tutto" è scaturito da un unica fonte, in qualche modo prima della genesi, quello che ci circonda era una unica cosa.
Visto che i fenomeni che si manifestano nell'universo sembrano tanto dissimili gli uni dagli altri si potrebbe immaginare che la natura sia così complessa che ogni sua caratteristica dipenda da leggi fisiche eterogenee e slegate tra loro, proprio così come la realtà dei fenomeni si manifesta ai nostri sensi:
sono serviti secoli di studi per capire che la luce era della stessa sostanza di altre onde e che anche i fenomeni elettrici rappresentavano un'altra espressione della natura magnetica, e se l'unificazione nell'elettromagnetismo è stato il primo grande successo in questo senso, i fisici non hanno più smesso di cercare la teoria unica in grado si descrivere l'intero creato.

Dopo tanto scrutare nelle pieghe delle manifestazioni fisiche si è giunti alla conclusione che tutta la natura si manifesta attraverso quattro forze fondamentali, necessarie e probabilmente esaustive di tutto ciò che ci circonda, dai fenomeni subnucleari ai meccanismi galattici:

- la forza elettromagnetica (luce, onde radio, infrarosso, ultravioletto, etc.)
- la forza nucleare debole (decadimento radioattivo)
- la forza nucleare forte (che permette ai nuclei atomici di esistere così come li conosciamo)
- la gravità (la forza che tiene noi sulla terra, la terra intorno al sole, il sole nella via lattea, etc)

In realtà, siccome anche questi fenomeni hanno delle sottili somiglianze, si è pensato che le varie forze potessero essere più facce di una stessa medaglia: i tentativi di unificazione si sono moltiplicati quindi nello scorso secolo fino ad appurare che la forza elettromagnetica e quella nucleare debole in certe condizioni  sono la stessa cosa, dando origine alla forza elettro-debole, ed a teorizzare che in condizioni ancora più estreme anche la forza nucleare forte dovrebbe unificarsi alle precedenti.

Quindi lo scenario primordiale (inteso come i primi attimi dopo il Big Bang) fu quello di un plasma super omogeneo in cui un unica forza governò, anche se per pochi istanti, la fisica di quel sistema primitivo e semplificato: frazioni di secondo ed il plasma iniziò a raffreddarsi dando origine alle diverse forme della materia e delle forze che conosciamo, in una continua rottura della simmetria iniziale; per immaginarci questo processo si possono portare alcuni esempi il più semplice dei quali riguarda gli stati dell'acqua alle varie temperature.

Allo stato di vapore le molecole gassose si dispongono in modo molto omogeneo (pensate all'aria che ci circonda) ed osservandole, ad esempio, attraverso un cubo trasparente che le contiene, sarà impossibile definire delle differenze da qualsiasi faccia del cubo si osservi il vapore acqueo, ed ogni faccia ci sembrerà identica alle altre; appena si abbassa la temperatura ed il vapore comincia a condensare noteremo che sulle facce del cubo si formeranno figure diverse e da ogni angolazione il cubo ci apparirà con nuove formazioni di gocce. Una volta condensato tutto il vapore, il cubo (supponiamo che sia completamente colmo d'acqua) ci apparirà nuovamente omogeneo anche se le molecole d'acqua disponendosi secondo certi schemi saranno sicuramente meno omogenee di quelle gassose e qualche piccola differenza sarà percettibile guardando l'interno del cubo attraverso le diverse angolazioni. Superando l'ultimo processo di raffreddamento l'acqua inizierà a ghiacciare formando cristalli complessi e con zone di grande disomogeneità in modo tale che ad ogni sguardo delle diverse facce del cubo ci sembrerà di vedere un contenuto diverso, sei diversi caleidoscopi di ghiaccio uno diverso dall'altro.

In pratica attraverso il processo di raffreddamento si è rotta più volte la simmetria iniziale che ci faceva apparire tutte le facce trasparenti del cubo identiche (così come tutte le forze sembravano una, subito dopo il Big Bang) e mano a mano che le condizioni di temperatura cambiavano, l'osservazione delle singole facce del cubo ci dava la sensazione di scrutare in una finestra affacciata ad una realtà diversa (anche se simile), così come allo stato attuale dell'evoluzione del nostro universo le varie forze ci sembrano così differenti l'una dall'altra.
Rimangono come al solito i grandi quesiti insoluti: perché si è rotta la simmetria? Perché la natura dovrebbe prediligere una faccia del cubo rispetto alle altre? E l'universo espandendosi potrebbe avere incontrato una sorta di campo preesistente sul quale condensare?

sabato, febbraio 23, 2013

Il Big Bang ha detto....... Start!

Con quale grado di sicurezza possiamo oggi far coincidere l'inizio di tutto con la teoria del Big Bang? Il cosiddetto modello cosmologico standard si basa effettivamente su dati concreti ed oggettivi? Sono domande che nascono spontanee a chi si avvicina per la prima volta alle scienze astronomiche e sente discutere delle teorie inerenti all'istante in cui sarebbe nato l'universo, inteso come l'insieme dello spazio e del tempo in cui noi viviamo, orbitano i pianeti, le galassie si formano, etc  etc.
Se partiamo dal principio, non dell'universo ma della storia della teoria, possiamo tornare agli anni in cui Einstein, dopo aver formulato la relatività generale ed averla vista confermare dalle osservazioni astronomiche, godeva di grande fama con la conseguenza che scienziati di tutto il mondo iniziarono ad utilizzare le sue formule per calcolare eventuali conseguenze della teoria ancora ignote (anche ad Einstein stesso); uno di questi fu Alexander Friedmann, matematico russo, che derivando le equazioni di  Einstein rilevò che l'universo doveva essere in espansione, in contrasto con ciò che si era creduto fino ad allora e che lo stesso Einstein si era rifiutato di evincere dalla propria teoria.

La prima prova sperimentale fu portata da Hubble nel 1929, che mostrò che le galassie intorno alla nostra si stavano allontanando, dando nuovo interesse ai calcoli di Friedmann, ma fu Lemaìtre, qualche anno dopo, che arrivò alla conclusione che, andando a ritroso nel tempo, l'attuale espansione si sarebbe trasformata nella graduale contrazione fino ad un unico singolo punto in cui tutta la materia dell'universo sarebbe stata compressa (nucleosintesi).

La seconda prova, molto interessante perché pronosticata, è quella dell'osservazione della radiazione cosmica di fondo; George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman già nel 1948 predissero la misurazione di una emissione di temperatura nel fondo del cielo che fu effettivamente e casualmente rilevata dai radiostrumenti di Penzias e Wilson nel 1965. In pratica si misura una quasi omogenea temperatura del fondo cosmico che proverebbe il fatto che tutto ciò che vediamo sia stato per un certo tempo a stretto contatto nelle prime evoluzioni dopo il Big Bang: curioso che fino a qualche tempo fa le televisioni analogiche, se sintonizzate su frequenze libere da emittenti, visualizzassero nell'immagine scostante e granulosa di disturbo anche il segnale di tale radiazione cosmica.

La terza prova sarebbe l'abbondanza di Elio-4 (circa il 25%) e la presenza nell'universo di elementi chimici in determinate percentuali: infatti grazie al modello della nucleosintesi primordiale è possibile  calcolare il processo di formazione degli elementi nei primi istanti dopo il Big Bang e siccome alcuni di essi, come ad esempio l'elio-4, sono molto stabili e difficilmente si combinano con altri elementi, allora se l'abbondanza che ne misuriamo oggi è simile a quella prevista dal modello, possiamo altresì pensare che non si tratti di coincidenza; se poi moltiplichiamo la prova per altri elementi ed isotopi come il litio-7, tutto ciò diventa più che un indizio.

Possiamo concludere dicendo che comunque esistono teorie alternative a quella del Big Bang ma che nessuna ha alle spalle una così forte pletora di prove ed indizi, e che se pur portando rispetto alle varie credenze religiose, consiglierei vivamente le autorità varie, guru e santoni, vescovi e  rabbini, imam e cohen, di integrare presto nel loro modello religioso quello del Big Bang, tanto possono ancora sbizzarrirsi su ciò che è accaduto prima.

domenica, febbraio 17, 2013

Indeterminazione: imprecisione o ritardo?

Uno dei pilastri su cui poggia la meccanica quantistica è il principio di indeterminazione di Heisenberg che dice, semplificando al massimo, che nonostante ogni nostro sforzo non potremo mai conoscere con precisione e contemporaneamente tutte le caratteristiche di una particella elementare: un grosso shock per i deterministi dei secoli passati che pensavano un giorno di poter prevedere ogni futuro possibile semplicemente conoscendo lo stato iniziale di ogni particella di un sistema, facendolo poi evolvere secondo le leggi della fisica. In pratica tale principio, se vogliamo ricondurlo alla realtà quotidiana, esprime l'incertezza di fondo in cui siamo immersi: per quanto possano essere accurate le previsioni del tempo non saranno mai affidabili al 100%, prevedere chi vincerà le elezioni sarà sempre impossibile e nonostante ogni sforzo la moneta cadrà sulla testa o sulla croce senza poter dire nulla di più che ciò succederà, dopo infiniti lanci, la metà delle volte da un lato e la metà dall'altro.
Ma tale principio è frutto della nostra incapacità di costruire strumenti più precisi e simulatori più sofisticati oppure è una caratteristica della natura in cui siamo immersi?
La risposta, secondo l'interpretazione classica, è che l'indeterminazione non è superabile perché costituisce una proprietà intrinseca del mondo delle particelle e nonostante si possa prevedere il comportamento delle particelle tramite calcoli probabilistici (proprio come nel caso del lancio della moneta) rimarremo sempre all'oscuro, o meglio conosceremo con un certo grado di incertezza, le sue proprietà in un dato istante (per esempio velocità e posizione).


L'origine di tale imprecisione nasce fondamentalmente dalla impossibilità di misurare senza interagire e, come nell'esempio fatto qualche settimana fa sul termometro, di modificare lo stato del sistema che vogliamo esplorare; in realtà potrebbero esistere anche altri limiti alla nostra conoscenza della natura e vorrei tentare di fare un esempio che può essere applicato sia al macro che al microcosmo.


Sappiamo che la luce che ci giunge dalla spazio per impressionare il cielo notturno con la miriade di puntini che osserviamo, ha viaggiato nello spazio siderale per svariato tempo prima di poter essere intravista dai nostri occhi e dagli strumenti astronomici; questo viaggio può durare minuti, come nel caso del Sole, anni come per Proxima Centauri, miliardi di anni come per la luce più fioca e lontana che riusciamo a misurare. La prima conseguenza di questi tempi di percorrenza è che la luce che vediamo rappresenta un immagine passata degli oggetti che l'hanno emessa; la seconda conseguenza è che potrebbero esserci oggetti così lontani che la luce da essi emanata non ci giungerà mai e che quindi non avremo mai informazioni relative a tali manifestazioni della natura.
Quindi il confine dell'universo a noi visibile, che dista circa 14 miliardi di anni luce, non è solo un confine ottico, ma anche una barriera alla conoscenza di eventuali altri fenomeni presenti nell'universo.

E nel microuniverso? Chi si muove attraverso internet negli svariati mondi di social network, game online, chat, ma anche  chi usa reti di comunicazione per lavoro, avrà sentito parlare di "lag" telematico cioè di ritardo; nella pratica il lag è il tempo che intercorre in una comunicazione tra l'invio di un dato ed il ritorno della conferma che tale dato è stato ricevuto: l'effetto è particolarmente fastidioso quando si gioca online perché l'azione che compie il mio avatar, cioè il comando che invio dalla mia tastiera, avrà rispondenza sul monitor (il segnale di ritorno) solo qualche istante dopo, creando un ritardo tra ciò che faccio e ciò che vedo. Se poi stiamo cercando di colpire virtualmente un bersaglio in movimento, la frustrazione crescerà all'aumentare del tempo di ritardo perché il punto che cercavo di colpire si sarà spostato nel lasso di tempo in cui il mio comando sia arrivato a destinazione: quindi dove mirare? Basterebbe conoscere la traiettoria precisa del nostro bersaglio e si potrebbe tentare di anticipare il colpo per annullare l'effetto del lag, un po' come fanno i tiratori scelti che nella realtà mirano uno spazio in avanti per tener conto della velocità del colpo e del obiettivo, ma siccome nel nostro gioco virtuale non conosciamo la regola che descrive il movimento del bersaglio, saremo costretti a mirare in un intorno della posizione sperando che il bersaglio si sposti proprio da quella parte. Ancora più semplicemente, in una conversazione telefonica via web, se non sappiamo quando il nostro interlocutore avrà finito di parlare, se il tempo di latenza è elevato, finiremo per parlarci uno sopra l'altro perché non abbiamo fissato una regola che ci faccia capire quando è il nostro turno di parlare (nelle comunicazioni radio si usava il "passo") e ci sarà una perdita di informazione legata alla sovrapposizione delle parole.
Nella realtà fisica esiste un lag implicito, non eliminabile, che è definito dalla distanza tra macro realtà di noi osservatori e misuratori nei confronti di un minuscolo pezzetto di materia di cui non conosciamo le proprietà di partenza: possiamo usare particelle per esplorare altre particelle, possiamo aumentare l'energia di dette particelle e frantumarle contro loro simili, possiamo sparare a caso e ricostruire la probabilità con cui la particella si sposta, ma sempre a che fare con particelle dovremo.

giovedì, febbraio 14, 2013

Buchi neri: lavatrici o biblioteche?

Una delle diatribe della fisica cosmologica degli ultimi decenni del secondo millennio è stata sul ruolo dei buchi neri nel nostro universo; siccome la caratteristica essenziale dei blackhole è quella  di risucchiare tutto ciò gli capiti nei paraggi, nello specifico tutto ciò che superi l'orizzonte degli eventi (come è stato battezzato il punto di non ritorno), sorge immediata una domanda sulla fine che facciano i malcapitati, essi siano UFO o semplici raggi di luce, inghiottiti nel buco senza uscita.


E' già sbalorditivo il semplice fatto che tali questioni siano state affrontate quando l'esistenza dei buchi neri come entità cosmiche era appena stata teorizzata, ed ora che possiamo affermare con una certa sicurezza che la loro presenza sia effettiva e nemmeno tanto remota, forse abbiamo anche alcune risposte importanti; in pratica il problema riguarda una delle leggi fondamentali della fisica che ci dice che col passare del tempo il disordine nell'universo, che chiamiamo entropia, deve sempre aumentare. L'entropia è il motore stesso della nostra esistenza nel senso che è profondamente legata allo scorrere del tempo; immaginiamo una situazione in cui il disordine totale sia rappresentato da una stanza o da una montagna o dal vostro computer e capirete presto che l'unico modo di far crescere più lentamente il disordine in questi ambienti è di non toccare nulla, di non interagire: anche nella situazione migliore di nessuna interazione comunque la stanza si riempirà di polvere, la montagna vedrà erodere i crinali ed il computer (il sistema apparentemente più chiuso dei tre) sarà negli anni soggetto al degradamento della sua memoria. Ed è proprio l'informazione l'altro punto essenziale della storia, perché se l'entropia è destinata ad aumentare, l'informazione legata ad ogni sistema invece rimane costante, cioè, nell'esempio del computer, sebbene ad un certo punto una memoria si bruci, l'informazione che descriveva quello stato, se vogliamo quel bit, rimane nella stanza sotto forma di calore o altra radiazione. Quindi anche se vediamo sgretolarsi una montagna o bruciare una sedia sappiamo che le informazioni che descrivono quegli stati (la posizione delle singole particelle e le loro proprietà) saranno comunque sempre presenti nell'universo e non svaniranno mai.

I buchi neri però potrebbero mettere in discussione questa visione del cosmo: i fisici usano dire che un buco nero "non ha capelli" per esprimere il concetto di essenzialità e cioè che ogni buco nero è indistinguibile da un altro se non per alcuni pochi e definiti parametri (gli stessi in pratica che caratterizzano una singola particella); una volta che un computer cadesse all'interno del buco nero, le informazioni contenute in esso (così come le informazioni che caratterizzano le sue miriadi di particelle) che fine farebbero, se poi alla fine il buco nero ci continua ad apparire calvo? Dopo che Hawking ha scoperto la possibilità che i buchi neri potessero emettere radiazione sotto forma calore, il dilemma si è complicato ulteriormente perché tale caratteristica, associata alla "mancanza di capelli", sembrava escludere che nel buco nero si potessero celare le informazioni risucchiate, ed anzi che magari queste potessero essere ripulite e riemesse come da un enorme lavatrice cosmica.

La soluzione proposta da jakob David Bekensteine dimostrata matematicamente dallo stesso Stephen William Hawking, fu che l'informazione e l'entropia ad essa associata può essere tutta immagazzinata sulla superficie sferica dell'orizzonte degli eventi, e più in generale che tutta l'informazione contenuta in un volume chiuso, è proporzionale alla superficie che racchiude il volume stesso: quindi non solo i buchi neri potrebbero racchiudere, come un enorme biblioteca, tutta l'informazione risucchiata, ma le informazioni contenute in tutto l'universo, quelle di ogni singola particella esistente, potrebbero risiedere sul confine dell'universo stesso.

sabato, febbraio 02, 2013

Ricapitolando

Forse è più facile ingannarsi nella convinzione che i fenomeni che non vediamo o percepiamo appartengano ad un mondo misterioso che è meglio non indagare troppo, se non attraverso qualche aspetto di spiritualità o di format sui misteri; alcuni risvolti "tecnici" della scienza ci sembrano complessi e noiosi ed è meglio convincersi che le risposte che possiamo ottenere siano comunque ristrette od incomplete in modo che ogni sforzo intellettuale ci appaia sprecato. Così ci limitiamo ad usare un telefono, un frigo, un computer, non soffermandoci sulla realtà della loro stessa esistenza che è legata alla conoscenza di leggi naturali apparentemente imperscrutabili e che i fisici hanno ostinatamente indagato fino ad ottenerne il controllo.


Di certo la scuola dell'obbligo non aiuta ad appassionarsi alle materie tecnico-scientifiche ma nell'era di internet l'informazione diventa accessibile, anzi diventa fruibile, grazie ai siti ed alle immagini, alle simulazioni, alla computer-grafica, alle conferenze, alle lezioni degli appassionati e dei professionisti.

Ci si può tuffare nel mondo della scienza e della fisica attraversando le scoperte, le storie dei personaggi, esplorando i limiti della ricerca attuale, anche scoprendo che i concetti che si sono appresi a scuola, magari decine di anni prima, non erano del tutto esatti e che anche l'atomo non è più quello che credevamo.

Può risultare poco lecito chiederci se siamo i soli ad osservare l'universo con le sue leggi e come sia possibile che, con tutte le probabili combinazioni di insuccesso, si sia sviluppata una forma di vita in grado di porsi tale domanda: una risposta esiste e non è teologica.

Porsi domande su concetti apparentemente tangibili come lo scorrere del tempo ci permette di inoltrarci in un mondo completamente diverso da quello che conosciamo, una realtà in cui gli orologi scandiscono tempi diversi ed in cui lo spazio ed il tempo si congiungono per poi distorgersi sotto il peso degli oggetti celesti: la conoscenza profonda di tali meccanismi ci permette oggi, per esempio, di viaggiare comodamente senza cartine stradali.

Non solo la nostra percezione di tempo è limitata ma anche quella di tatto ci trae in inganno perchè ci da la sensazione di essere pieni di materia e che la nostra massa sia qualcosa di farcito: la realtà è che siamo vuoti, quasi completamente, e che la sensazione di riempimento è solo dovuta ad invisibili palline impazzite che muovendosi attorno ad ogni atomo che ci compone, creano uno scudo di cariche elettriche che si oppongono a quelle degli oggetti che afferriamo: così come una moneta fatta girare velocemente attorno al proprio asse ci appare per qualche istante una sfera, anche il mondo che ci circonda appare pieno ai nostri occhi (ma non a quelli di una radiografia).

Ma cos'è che permette all'elettrone di avere tanta energia per muoversi freneticamente e proteggersi con i scudi di potenza negativa? E perchè l'elettrone e le altre particelle nascondono questa energia dietro un imbarazzante duplice comportamento?

Il segreto sicuramente si nasconde tra le pieghe del tessuto spazio-temporale, una trama creata in 14 miliardi di anni partendo da un unico punto dal quale è scaturito l'intero universo, lo spazio ed il tempo stesso; esiste anche una descrizione ormai abbastanza completa di ciò che è stato creato e degli elementi principali che componendosi hanno dato forma all'universo attuale: ma ci sono anche lacune da colmare.

Non sappiamo che cosa ci sia dietro al misterioso principio di non località, secondo il quale esistono connessioni quantistiche che eludono le limitazioni dello spazio-tempo, per teletrasportare informazioni in modo istantaneo da una particella ad un'altra, come se sotto la coperta del tessuto quadridimensionale nel quale si espande l'universo, si trovasse un materasso attraverso il quale si può viaggiare a velocità infinità per raggiungere istantaneamente qualsiasi punto della coperta.

Evidentemente le regole del mondo delle particelle sono diverse da quelle che dobbiamo seguire noi macro-osservatori, ed i nostri limiti sono legati alle infinite connessioni che compongono un pezzo di materia, miriadi di particelle che legandosi insieme perdono alcune loro capacità peculiari, fortunatamente, per dare origine al macro-mondo stabile in cui viviamo.


domenica, gennaio 27, 2013

Un modello ancora più bello, con i lacci

Abbiamo parlato in precedenza di modello standard delle particelle per definire lo stato dell'arte nella conoscenza della materia e di come questa sia composta, e possiamo affermare che la teoria attuale rispecchi quasi fedelmente il comportamento reale della natura visto che il modello è stato confermato in moltissimi esperimenti e con una precisione veramente impressionante; resta quindi da chiederci se siamo giunti ai limiti della conoscenza del microcosmo e se stiamo ormai esplorando le frontiere dell'universo nei sui confini più minuscoli.

La realtà è che sebbene il modello standard funzioni benissimo nel mondo dei quanti e delle particelle ha rivelato un limite per ora invalicabile nella ricerca di una teoria unitaria che metta insieme le leggi gravitazionali e quelle quantistiche, una teoria del tutto (o TOE come dicono gli anglofoni), che descriva in un unica equazione il comportamento della natura, dalle sue espressioni più microscopiche ed infinitesimali a quelle gigantesche del cosmo.
Ma qualcuno si chiederà: se la relatività generale funziona così bene nella descrizione del mondo macroscopico e la teoria quantistica associata al modello standard funziona altrettanto bene nei meandri del microcosmo, perché dovremmo arrovellarci le meningi per trovare una teoria unificante? La risposta è semplice: perché esistono casi in cui il macro incontra il micro e le due nature si mischiano in un unico fenomeno che richiederebbe l'intervento di entrambe le teorie;
due esempi classici sono i buchi neri ed il Bigbang. Esistono quindi scenari in cui una enorme quantità di materia, in grado di avere grandi effetti gravitazionali, si concentra in uno spazio così piccolo da richiedere l'uso della teoria quantistica; gli sforzi dei fisici di miscelare le due teorie ha portato però grande confusione e pochi risultati a causa di una incompatibilità di fondo che rende i calcoli irrisolvibili: la teoria della relatività generale contempla uno spazio liscio, privo di asperità ed omogeneo, mentre la fisica quantistica prevede uno spazio schiumoso e ribollente di infinite annichilazioni di coppie di particelle positive e negative, invisibile ai nostri occhi solo perché il fenomeno avviene in intervalli di tempo impercettibili; inoltre la semplificazione di considerare le particelle puntiformi, quindi senza un volume spaziale reale, crea enormi problemi nella fusione con la relatività che invece ha bisogno di corpi che occupino spazio tangibile.

La soluzione a questi intricati dilemmi sembra arrivare dalla teoria delle stringhe, un modello matematico per ora, che però promette da qualche decennio, di dare soluzione a tutti i grattacapi della unificazione tra relatività generale e meccanica quantistica. In particolare i punti di forza della teoria delle corde (come si dovrebbe tradurre letteralmente "string") sono:

- tutte le particelle del modello standard vengono prodotte dalla vibrazione di microscopiche stringhe, che come in uno strumento musicale, danno origine a particelle diverse in base alla frequenza ed alla intensità della vibrazione
- non essendo puntiformi, le stringhe occupano uno spazio definito e quindi posso associarsi meglio alla relatività
- essendo la cosa più piccola che dovrebbe esistere, le stringhe porgono un argine all'infinitesimamente piccolo, spazzando via i problemi della meccanica quantistica a distanze inferiori della lunghezza di Planck (0,000000000000000000000000000000000016 metri)
- le stringhe rappresentano una soluzione molto elegante alla Teoria del Tutto

Purtroppo ci sono anche alcuni lati negativi che rendono la teoria difficile da dimostrare:

- per dare origine a tutte le particelle che conosciamo le stringhe dovrebbero poter vibrare in molte dimensioni oltre quelle a noi note (3 spaziali ed 1 temporale) fino ad un massimo di 11 dimensioni
- la matematica per calcolare tali spazi multidimensionali è molto complessa e richiede anni di lavoro per identificare gli spazi con le dimensioni e le forme corrette
- essendo entità così piccole, le stringhe che vivono nel mondo delle dimensioni arrotolate e nascoste alle lunghezze di Planck, vedranno la loro esistenza confinata nel mondo teorico per molto tempo visto che la tecnica non ci permette di esplorare distanze così minuscole.


martedì, gennaio 22, 2013

Essere fino in fondo decoerenti

Abbiamo ormai capito che ciò che accade nei meandri subatomici ha ben poco da spartire con i meccanismi che regolano il nostro mondo di giganti, esseri agglomerati da miliardi di miliardi di particelle; se però le leggi che governano il nostro universo sono valide a tutte le scale come si può spiegare questa diversità a prima vista incoerente?
Proviamo a pensare alle proprietà di una piccola pietra: è leggera, rotola facilmente, viene erosa velocemente, ha un colore a prima vista omogeneo, viene risucchiata dal terreno fangoso, etc... 

Ora immaginiamo una montagna, anche non fosse l'Everest, e pensiamo alle sue caratteristiche:
è pesante, è immobile, viene erosa molto lentamente, ha colori diversi grazie alle varie angolazioni della luce, può essere scalata, ed avanti come sopra.
Quindi dal punto di vista di una montagna deve sembrare davvero inusuale il comportamento della pietruzza e figuriamoci poi quello della sabbia!! Eppure sono composti dalla stessa materia...
Allo stesso modo può sembrarci difficile comprendere i comportamenti delle particelle, la loro dualità ondulatoria e corpuscolare, il comportamento probabilistico, l'indeterminazione delle osservabili, semplicemente perché la nostra prospettiva è troppo distante da quella del mondo quantistico: ma a quale scala le particelle perdono le loro caratteristiche peculiari?

Gli esperimenti ci dicono che molecole anche molto complesse e forse addirittura alcuni microorganismi manifestano ancora, seppure in modo ridotto, caratteristiche del mondo quantistico;
questo processo di maturazione macroscopica, la decoerenza, avviene quindi in maniera graduale, come se ogni legame tra piccole particelle creasse una sorta di rigidità quantistica. In effetti se ricordiamo ciò che abbiamo detto a proposito dell'osservazione di un oggetto quantistico, e della perturbazione che ogni osservazione (o misurazione) intrinsecamente comporta, possiamo intuire come ogni particella che si lega o che interagisce con un altra, in realtà compia un processo di osservazione e viceversa. Il risultato è un universo composto da un infinità di particelle che si osservano e si scrutano l'un l'altra, rendendo il nostro mondo quantisticamente decoerente, ma sicuramente più adatto alle camminate in montagna, al tiramisù, al gioco del calcio, alle belle ragazze, etc...

domenica, gennaio 20, 2013

L'elettrone ed il moschicida

Un elettrone è l'emblema delle stranezze che caratterizzano il mondo quantistico delle particelle:
non possiamo sapere con precisione dove si trovi a meno di perdere informazioni sulla sua velocità (e viceversa) e se provassimo a chiuderlo in un barattolo (dovrebbe essere un barattolo molto particolare dotato di un campo magnetico), lo vedremmo muoversi come impazzito all'interno di quello spazio limitato, tanto da non riuscire quasi a vederlo. Se poi provassimo a confinarlo in un barattolo ancora più piccolo il risultato sarebbe, sempre come conseguenza del principio di indeterminazione, che l'elettrone impazzirebbe ancora di più spostandosi sempre più velocemente, come se non volesse arrendersi a quel destino di prigioniero ingabbiato.

Ripetendo un "esperimento" che abbiamo fatto quasi tutti da bambini, se intrappolassimo una mosca impazzita (una di quelle in piena crisi isterica) in un barattolo, il risultato sarebbe molto simile a quello descritto per l'elettrone solo che per mantenere le proporzioni, il barattolo che contiene la mosca dovrebbe essere enorme, alto e largo come la distanza dalla Terra al Sole!! Immaginatevi di rincorrere la mosca che si muove ad una velocità vicina a quella della luce per uno spazio immenso come quello che divide il nostro pianeta dal centro del sistema solare: una bella impresa anche se dotati di super paletta gigante ed in una situazione del genere è difficile anche solo capire dove sia la mosca in un determinato momento, che a prima vista sembra essere in più posti contemporaneamente vista la velocità con cui si sposta. 

L'unica cosa da fare in queste condizioni è usare la maniera forte: spruzziamo il moschicida in grandi quantità ed aspettiamo che la mosca passi in quel punto ed ecco che, come previsto, in un attimo vediamo un puntino nero bloccarsi per poi cadere sul fondo del nostro barattolone! 
Non potremo mai sapere a che velocità stava andando ma abbiamo identificato con una certa accuratezza il punto in cui si trovava la povera mosca prima di rimanere stecchita (come sacrificio non è stato poi così utile).

Quando i fisici devono maneggiare particelle quantistiche si trovano sempre a dover compiere "sacrifici" ed interagendo con esse ne distruggono la funzione d'onda (la natura ondulatoria che nella nostra analogia la mosca creava muovendosi a velocità così elevate) trovandosi molte volte poi tra le mani una particella stecchita (la natura corpuscolare degli oggetti quantistici).

venerdì, gennaio 18, 2013

Un bel modello, quello standard

Scavando nel mondo delle particelle, o meglio frantumandole nel microcosmo, i fisici in 50 anni di collisioni tra pezzi di atomi scagliati gli uni contro gli altri ad enormi energie, sono riusciti ad identificare i tre mattoni di cui è composta tutta la materia che ci circonda: quark up, quark down ed elettroni. Un passo avanti non in senso numerico visto che già un secolo fa si era giunti alla conclusione che l'atomo fosse composto da elettroni, protoni e neutroni, ma sicuramente un enorme balzo nella comprensione dei meccanismi che regolano la materia e le forze in gioco; infatti grazie alla scoperta dei quark, che compongono appunto i protoni ed i neutroni, si sono riuscite a spiegare le interazioni che mantengono i nuclei atomici uniti  (forza nucleare forte) ed anche le ragioni alla base dei decadimenti radioattivi (forza nucleare debole).

Nella affannosa ricerca degli elementi fondamentali dell'universo, gli scienziati hanno incontrato non poche difficoltà dovute al proliferare di pezzettini di materia che però non sembravano incastrarsi nel puzzle che avrebbe identificato finalmente la natura primordiale del cosmo: infatti prima di scremare tutti quelli che non sembravano i mattoncini indivisibili, si sono dovuti eseguire miliardi di collisioni in tutti gli acceleratori del mondo per poi finalmente arrivare alla conclusione che la natura prevede l'esistenza di sei tipi di quark, tre tipi di elettroni ed anche tre varietà di neutrini. Eppure poche righe sopra affermavo che tutta la materia è composta da soli tre elementi (due quark ed un elettrone) ed è questa la realtà, ma l'universo prevede comunque l'esistenza di altre forme di materia, anche se queste non risultano stabili (come l'antimateria) o più semplicemente vagano nello spazio senza interagire (come i neutrini); quindi, un po' come è accaduto per la tavola periodica degli elementi chimici che ha continuato ad espandersi grazie ai laboratori che scoprivano elementi come il rutherfordio od il bohrio, che però non sono presenti naturalmente sulla Terra, così nella fisica delle particelle si sono incontrati elementi altamente instabili che comunque in un probabile momento della creazione od in un momento evolutivo dell'universo, potrebbero aver trovato il loro posto anche se per poco nella storia che stiamo raccontando.

Quindi la bellezza del Modello Standard delle particelle fondamentalmente è dovuta alla sua semplicità e simmetria che ci apre una finestra dalla quale si può avere una visione profonda su tutto ciò che esiste, che è esistito o potrebbe esistere.

domenica, gennaio 13, 2013

Velocità della luce: più lenti non si può (parte 2)

(Se ti sei perso la parte 1)

Quando si immagina la trama del tessuto spazio-temporale si dovrebbe pensare a qualcosa di quadridimensionale, cosa a cui la nostra mente non è assolutamente abituata visto che ci siamo evoluti in un mondo a tre dimensioni e tutti i nostri sensi sono tarati per muoverci in un ambiente simile. L'escamotage per entrare nel mondo immaginato da Minkowski ed Einstein è quello di tralasciare qualche coordinata spaziale (tanto sappiamo bene com'è fatto lo spazio a tre dimensioni) per far subentrare quella temporale, prendendo per esempio come partenza un mondo piatto in cui gli oggetti bidimensionali si possano muovere solo avanti-indietro e sinistra-destra: a pensarci bene non è nemmeno una approssimazione tanto lontana da molte situazioni reali, visto che quando siamo per esempio in bici non abbiamo modo ne di volare ne di scavare e quindi i nostri spostamenti sono, ci permettiamo di dire, a due dimensioni. A questo punto dobbiamo aggiungere la dimensione temporale che possiamo immaginare come tutti i fotogrammi del percorso che faremo in bici, magari sovrapposti uno sull'altro come in una risma di fogli, in pratica un cubo in cui la traiettoria nello spazio e nel tempo sia rappresentata da una linea che congiunge i vari punti (uno per foglio) in cui la bici si è trovata durante il tragitto.

Ancora più semplicemente vorrei introdurvi alla analogia che prediligo: pensate  ad una pellicola di un film in proiezione, dove ogni fotogramma rappresenta uno dei fogli immaginati prima; ora proviamo ad immaginare di essere seduti e di guardare il film che inizia con la bici ferma e di misurare la velocità con cui i fotogrammi scorrono davanti ai nostri occhi o meglio la velocità della pellicola: troveremo che in quel istante il nastro viaggia a circa 300.000 km/s (ricordiamo che lo scorrere dei fotogrammi rappresenta lo scorrere del tempo).
Ad un certo punto la  bici parte col suo ciclista, sempre inquadrata nel nostro fotogramma, e raggiunge la velocità di 100 km/s (è una bici truccata oppure il ciclista è dopato), mentre noi ci apprestiamo a misurare nuovamente la velocità della pellicola per rilevare che questa invece ha rallentato a 299900 km/s; niente di strano, infatti sappiamo bene che, a causa della relatività ristretta, gli oggetti in movimento rallentano il loro orologio che visto da un osservatore esterno (ricordiamo che noi siamo seduti ed il film lo guardiamo), ci apparirà rallentato.



Se quindi il ciclista riuscisse pedalando ad arrivare a 200000 km/s troveremo che la pellicola sarebbe rallentata a 100000 km/s e quindi il film apparirebbe come uno slow motion; quello che però vorrei che notaste è che la somma delle velocità della pellicola (cioè dello scorrere del tempo) e della bicicletta è sempre 300000 km al secondo che poi non è altro che la velocità della luce:
questo sta a significare che ogni cosa nell'universo corre alla velocità della luce ma, siccome la velocità si scompone nelle varie direzioni dello spazio-tempo, nella nostra apparente quiete spaziale di spettatori seduti, noi corriamo a grande velocità nella direzione del tempo, e ciò attenua gli effetti relativistici nella nostra esperienza quotidiana (anche quando ci stiamo muovendo nelle dimensioni spaziali a piccole velocità).


Tale rivelazione ci mette innanzi ad alcune considerazioni molto interessanti:

1) i fotoni che compongono lo spettro elettromagnetico (come per esempio la luce visibile) viaggiano alla velocità della luce diretti esclusivamente nelle tre direzioni spaziali e quindi la loro pellicola (per tornare al film proiettato in precedenza) è completamente immobile e si trovano al di fuori del tempo, senza mai che un secondo sia trascorso per loro dal Bigbang, come degli eterni highlanders;
2) i fotoni sono privi di massa ed è questa la ragione che permette loro di raggiungere la velocità della luce nella direzione spaziale;
3) l'uomo in bici possiede una massa quando è fermo  (massa a riposo) ma durante la corsa la sua massa aumenterà (massa relativistica che sarebbe meglio indicare come energia totale) a causa delle conseguenze della relatività ristretta.

Rimanendo nel nostro cinema virtuale, vuoi mica vedere che l'inerzia in eccesso, che si crea acquistando velocità nelle direzioni spaziali, finisce per appesantire la pellicola (la dimensione temporale) che sarà costretta a rallentare, essendo il motore del proiettore (dell'universo) sempre lo stesso per tutti gli attori e gli spettatori di questo film?

giovedì, gennaio 10, 2013

Dal big bang allo schiuma party


Seppure sia la teoria attualmente più sostenuta dal mondo scientifico (ma anche da quello mediatico come soggetto di facile spettacolarizzazione), nell'opinione comune di noi ignoranti è molto difficile immaginarsi il Bigbang come nascita dell'universo intero, e se poi ci aggiungiamo che non è solo un fatto di creazione di materia bensì della genesi dello spazio e del tempo come noi lo percepiamo, allora ci viene il mal di testa e giriamo lo sguardo per distrarci sul colore del maglione all'ultima moda o sul modello del nuovo smartphone appena uscito nei negozi.

A volte cercare di visualizzare concetti così lontani dalla nostra esperienza e dalla nostra scala di grandezza richiede uno sforzo di fantasia ed immaginazione, ma tentare vale la pena e non costa nulla: proviamo a prendere una goccia di detersivo superconcentrato che, fino a quando è lasciata sola ed in pace, rimane stabile e nulla accade; poi aggiungiamo un poco d'acqua e misceliamo con forza ed inizierà a formarsi una quantità di schiuma sempre maggiore fino ad arrivare ad un volume impressionante che presto riempirà lo spazio intorno. Se ripetiamo l'esperimento all'aperto e ci aggiungiamo un bel ventilatore che sparga la schiuma ai quattro venti ecco che abbiamo organizzato uno schiuma party!! 

Ebbene il Bigbang assomiglia molto ad una di quelle feste in cui si viene cosparsi di schiuma generata da speciali cannoni alimentati da qualche goccia di apposito sapone.
Infatti l'universo non è altro che materia sparpagliata a casaccio e probabilmente generata da una sola goccia concentratissima che ad un certo punto è esplosa, per cause molto difficili per ora da definire; comunque immaginiamo anche di fare tutto ciò nel vuoto (anche se forse in assenza di aria addio bolle) e vedremo la schiuma continuare a spandersi in tutte le direzioni, sflilacciarsi sempre di più fino a formare piccoli mucchietti separati di bolle sparse (che nella nostra analogia costituiscono le nebulose di gas), separate da distanze che rappresentano il tessuto dello spazio e del tempo,  fino poi a ricondensarsi in piccole gocce d'acqua che rappresentano gli ammassi e le galassie stesse (figurarsi poi che ogni galassia è formata da milioni di sistemi stellari come il nostro). 

Certamente l'universo è più complesso di così, e la materia non è solo formata da acqua e sapone però il Bigbang preferisco immaginarlo come un cannone spara schiuma che come una bomba nucleare che esplode...
E poi cosa c'era prima del Bigbang? Probabilmente una festa meno divertente!

domenica, gennaio 06, 2013

Tanti, ma Quanti?

Uno degli aspetti sbalorditivi della natura si presenta ai nostri occhi come un pacchetto; un regalo per i fisici di inizio novecento che, alle prese con la catastrofe ultravioletta (una errata previsione delle teorie classiche), aspettarono Einstein e la sua scoperta dell'effetto fotoelettrico (nobel nel 1921) per spacchettare l'omaggio di Max Planck e la sua ipotesi quantistica del 1901.
Ebbene, nel pacco c'era un pacchettino, meglio dire un "quanto", perché oltre alla materia, che già si immaginava essere composta da mattoncini chiamati atomi, anche l'energia si presentava in pastiglie inscindibili chiamate fotoni. Da allora tutto è stato scoperto essere impacchettato, dallo spin degli elettroni, alle forze di interazione tra quark, al tempo.

Ma perché ci dovrebbe stupire tanto che la natura si presenti in tanti "quanti"? Nella fisica classica si è abituati a maneggiare grandezze analogiche, ma anche l'esperienza quotidiana ci lascia intuire che le vastità che ci circondano siano infinitesimamente suddivisibili; il fatto è che i pacchetti di cui stiamo parlando sono veramente piccoli, di una dimensione a noi quasi inimmaginabile, ed al nostro livello macroscopico è difficile intuirli così come è arduo intuire la dimensione dell'universo; naturalmente ci risulta anche non presagibile che il tempo stesso sia suddiviso in istanti, fotogrammi del reale che non possono più essere scissi.

Eppure basta immaginare l'architetto universale, la natura, che dovendo scegliere se costruire "il tutto" utilizzando come fondamenta un evanescente struttura diluibile infinitesimamente, oppure pacchetti ben definiti da poter appoggiare l'uno all'altro, prediliga questa seconda scelta.

venerdì, gennaio 04, 2013

Lo sporco doppio gioco degli elettroni

Il più "bel esperimento di sempre", come è stato definito, consiste nello sparare particelle elementari contro una parete in cui sono state praticate due minuscole e ravvicinatissime fenditure in modo che alcune di queste particelle riescano a passare dall'altro lato per andare a "spiaccicarsi" contro una lastra sensibile che visualizzerà i punti di impatto.

Se ripetessimo l'esperimento a livello macroscopico ed al poligono di tiro sparassimo proiettili in modo che questi, infilandosi nelle fenditure, andassero ad impattare sul bersaglio posto qualche metro dietro, il risultato constaterebbe di due strisce di buchi corrispondenti in traiettoria alle fenditure per le quali sono volati; se invece provassimo ad adattare l'esperimento a qualche generatore di onde, per esempio un altoparlante che riproduce un suono ad una certa frequenza, ed interponendo il solito schermo con le due fenditure tra l'origine del suono ed un rilevatore dello stesso, ci accorgeremmo che il risultato è rappresentato da una serie di regioni dello spazio in cui il suono è più forte ed altre in cui c'è il silenzio assoluto: lo stesso varrebbe per un generatore di onde d'acqua, di onde radiofoniche, luminose, etc... perché ciò che accade ad un onda che attraversa due fenditure è di scindersi in due onde uguali che interferiscono tra loro dando origine a zone in cui i picchi d'onda si sommano alternate ad altre in cui si elidono.


La conseguenza è che l'esperienza delle due fenditure è cruciale per capire se la fonte che noi proiettiamo verso lo schermo ha origine ondulatoria o particellare ed è stato quindi adattato in forme diverse fino a riuscire ad ottenere uno schema attuabile anche per gli elettroni e da qui in avanti le sorprese non sono più finite: innanzi tutto gli elettroni sparati che attraversano le fenditure arrivano sullo schermo rilevatore come punti ben definiti, proprio come un proiettile, e lasciando aperta una fenditura sola il risultato è la classica striscia di puntini (come sullo schermo del poligono); aprendo contemporaneamente le fenditure osserviamo la prima stranezza, perché otteniamo invece una sequenza di strisce, classica delle interferenze tra onde.

Chiaramente la prima cosa che si pensa è che probabilmente gli elettroni che passano le fenditure quasi contemporaneamente interferiscano in qualche modo tra di loro al di la dello schermo, ma anche ripetendo l'esperimento in modo da distanziare i lanci di elettroni l'uno dall'altro con la sicurezza che uno solo alla volta passi le fenditure, l'immagine di interferenza non scompare (l'elettrone interferisce con se stesso?). 
Durante i primi test i fisici sperimentali pensarono che la cosa più logica da fare era mettere un rilevatore vicino alle fenditure per capire cosa accadesse e da quale fenditura passasse il singolo elettrone ma il risultato fu sconcertante: con la presenza dei rilevatori l'immagine di interferenza veniva sostituita dalle due strisce tipiche del comportamento particellare: l'osservazione degli elettroni fa collassare la funzione d'onda.

Raccontato così l'esperimento delle due fenditure  può sembrar appartenere più ad una esperienza spirituale che ad una prova scientifica ed è comunque alla base delle interpretazioni che hanno dato origine alla fisica quantistica ed alla evidenza della doppia natura delle particelle, corpuscolare ed ondulatoria. Vorrei però tentare di demistificare agli occhi degli osservatori "ignoranti" quello che accade durante l'esperimento delle due fenditure. Innanzi tutto dobbiamo tenere presente che le fessure dell'esperimento sono ad una distanza che è della scala delle dimensioni dell'elettrone-proiettile (e questo è stato tra l'altro uno dei problemi maggiori per realizzare l'esperimento),  poi considerare che le particelle elementari sono associate ad una lunghezza d'onda (De Broglie) e cioè ad una specie di vibrazione e, per concludere, che non si può pensare ad un minuscolo oggetto quantistico come ad un massivo proiettile di metallo ma per fare una similitudine col macrocosmo immaginarlo come una pallina gelatinosa che vibra.

Si tratta chiaramente di una analogia impropria per molti aspetti ma cosa accadrebbe se sparassimo proiettili gelatinosi e vibranti attraverso due fenditure poste tra loro ad una distanza non maggiore delle dimensioni del proittile stesso? Provo ad immaginare che in molti casi il proiettile venga diviso in due dal filetto che distanzia le fenditure per poi ricomporsi subito dopo, ma siccome nel mentre la gelatina continua a vibrare, nel ricomporsi il molle proiettile subisce una deviazione di traiettoria legata alla frequenza della vibrazione stessa; e quando mettiamo il rilevatore vicino alle fenditure?
Ma certo, lo sanno tutti che la gelatina tende ad appiccicarsi qualsiasi cosa incontri per la sua strada!!




mercoledì, gennaio 02, 2013

Il paradiso degli scienziati


Normalmente la fine di un anno coincide con momenti di bilancio, è una scusa per trovare il tempo di riguardare indietro e capire come sono andate le cose, come sarebbero potute andare; immagino che per il lavoro di uno scienziato invece il 31 dicembre sia poco cruciale se non per qualche scadenza fiscale o burocratica (me li immagino annoiati a fare l'inventario del laboratorio), perché il lavoro di ricerca già  necessita di una valutazione costante, e quotidiana. 

Il mio augurio per l'anno nuovo a tutti noi "ignoranti" è quello di riuscire ad imitare i ricercatori nel metodo della vita di tutti i giorni, ritagliando minuti essenziali per riflettere, comprendere, decidere, così come fanno gli studiosi che costantemente mettono in discussione i loro risultati ed i loro metodi per raggiungere gli obiettivi e le scoperte che poi cambieranno col tempo le nostre vite: le scelte di ognuno di noi dovrebbero essere altrettanto cruciali per la nostra esistenza.

E sarà forse il destino che ha voluto concludere proprio alla fine dell'anno la centenaria avventura della ricercatrice italiana più conosciuta nel mondo, la Scienziata-senatrice Rita Levi Montalcini, una figura che forse sembrava appartenere, per educazione e portamento, non al secolo scorso ma a quello ancora precedente, ma la cui figura, essendo donna di scienza, non combaciava nella sostanza di ciò che faceva e pensava ad alcun periodo storico specifico; aveva dichiarato in qualche intervista di non credere in alcun Dio, ma essendo famosa per la curiosità indomabile, immagino che qualche pensiero su cosa la stesse attendendo al di là della soglia della vita, lo avesse avuto.


A me piace immaginare l'esistenza di un non luogo in un non tempo, dove tutte le menti degli scienziati si trovino raccolte ad osservare il codice primordiale che regola il nostro universo, senza strumenti o rilevatori come hanno instancabilmente fatto per tutta la vita, ma semplicemente immersi e connessi  ad esso, potendo finalmente scrutare i segreti del DNA, l'infinitesimo mondo dei bosoni, le ragnatele del tessuto spazio-temporale, le leggi della simmetria, in un estasi senza fine che ripaghi il sacrificio di una vita donata alla ricerca della verità.
Buon anno a tutti.