venerdì, dicembre 28, 2012

Non esiste più quel "locale" di una volta...

Basta digitare su di un motore di ricerca il termine "quantistico" oppure "entanglement" per capire che il significato prettamente scientifico di queste parole sia stato utilizzato per giustificare il nascere di movimenti mistico/religiosi in stile "new age": da dove nasce la connessione tra la seria ricerca dei fisici del secolo scorso e questa ondata di pseudo-spiritualità?
L'origine delle visioni più mistiche della meccanica quantistica devono essere ricercate nella sua interpretazione più ortodossa e primordiale, quella cosiddetta di Copenaghen, in cui si delineavano le caratteristiche di un mondo fisico nuovo, quello appunto quantistico, che non aveva più nulla a che vedere con quello classico del macrocosmo di cui tutti abbiamo esperienza quotidiana; in particolare nel mondo dei quanti, secondo l'interpretazione concordata dai maggiori esperti nel 1927, non valevano più i principi di realtà e di località, che ora cercherò di spiegare meglio.

Il realismo fisico, quello tanto caro ad Einstein, è definito dalla proprietà degli oggetti di possedere caratteristiche misurabili preesistenti all'osservazione (e quindi alla misurazione) per cui il fatto che un oggetto sia al centro di un esperimento o meno, non cambia la realtà fisica di quell'oggetto che si evolverebbe comunque indipendentemente dal nostro esame: la fisica dei quanti non sembrerebbe ammettere questa realtà perché ad ogni nostra misurazione l'oggetto quantistico (pensiamo ad un elettrone od un altra particella) cambia la propria caratteristica ed il proprio comportamento.
Per spiegare con un analogia questa evoluzione della fisica del microcosmo pensiamo a cosa accade quando immergiamo un termometro in un bicchiere pieno d'acqua per misurarne la temperatura: anche se in modo impercettibile l'immersione del termometro (che avrà una certa temperatura) andrà a turbare la temperatura dell'acqua nel bicchiere che però, essendo un oggetto macroscopico, non si accorgerà quasi della nostra azione; se però riduciamo sempre di più le dimensioni del bicchiere fino a fargli contenere una sola molecola di acqua, comprendiamo subito che il gesto di mettere a contatto il termometro con questa minuscola goccia, cambierà inevitabilmente la temperatura della stessa. Purtroppo ciò che accade a livello di particelle è ancora più complesso di ciò che ho provato a descrivere con l'esempio appena citato e comportamenti duali (onda o particella) hanno fatto emergere un mondo microscopico completamente bizzarro e casuale fino ad originare una interpretazione non realistica della fisica delle microcosmo: quindi secondo l'interpretazione di Copenaghen gli oggetti quantistici si trovano in una sovrapposizione di stati fino a quando qualcuno non li osserva (il famoso gatto vivo e morto di Schrödinger).

Il principio di non località è ancora più sconvolgente di quello del non realismo ed infatti è quello più  utilizzato dai vari santoni per giustificare una connessione universale che vedrebbe l'umanità ed il cosmo stesso in uno stato di entanglement: tralasciando le visioni mistiche, effettivamente a livello quantistico succede una cosa completamente lontana dalla nostra esperienza quotidiana che ci induce immediatamente a pensare più alla magia che alla scienza.
Se prendiamo due particelle create appositamente con caratteristiche complementari (ad esempio con spin opposti) e le allontaniamo ad enorme distanza una dall'altra, nel momento stesso in cui interagisco con una delle due, l'altra istantaneamente ed indipendentemente dalla distanza reagirà come se fosse collegata alla prima; in pratica si assiste ad un teletrasporto dell'informazione quantistica e questo ha creato speculazioni su possibili ed imminenti costruzioni della macchina per il teletrasporto, di invisibili connessioni celebrali tra tutti gli uomini sulla Terra, di possibili giustificazioni alla telecinesi e chi più ne ha più ne metta.

Innanzi tutto chiariamo immediatamente che entrambi i principi di non realtà e non località sono validi esclusivamente per il microscopico mondo delle particelle, poi specifichiamo che il principio di non realtà è stato messo in discussione da interpretazioni più moderne come la decoerenza quantistica e la meccanica di Bohm ed infine rassegnamoci al fatto che scendendo a scale infinitesimamente piccole la materia non si comporta come siamo abituati a pensare ed effettivamente il principiò di non località è stato dimostrato tramite il teorema di Bell e diversi esperimenti di tipo EPR.
Se fosse ancora vivo Einstein probabilmente dovrebbe rassegnarsi oggi al fatto che nonostante tutti i  suoi sforzi di dimostrare il contrario, non c'è proprio più il "locale" di un tempo...





mercoledì, dicembre 26, 2012

Cavalcando l'onda


Una delle definizioni più ardue da dare in ambito fisico è quella di energia in senso generico (non in una sua specifica forma), nonostante nella nostra esperienza non facciamo alcuna fatica a riconoscere e misurare molti aspetti di questa sfuggente manifestazione dell'universo; se per esempio guardiamo la bolletta della luce o del gas riconosciamo subito di aver utilizzato (e pagato caro) energia seppure in forme e da fonti diverse, mentre se corriamo ci accorgiamo di bruciare energia perché poi siamo stanchi e dobbiamo reintegrare bevendo e mangiando. Addirittura il pensiero nei nostri cervelli si produce tramite l'energia ed il consumo della stessa con lo scambio di impulsi elettrici tra le sinapsi, e possiamo tranquillamente affermare che l'esistenza di tutto ciò che possiamo osservare (e l'osservazione stessa) dipendono dalla presenza dell'energia.

Da quando Einstein ha derivato dalle sue celebri equazioni della relatività anche quella che sarebbe diventata la formula matematica più famosa al mondo, sappiamo che esiste una relazione strettissima tra energia e massa e che nell'ultima è contenuta una quantità enorme della prima (un grammo di Uranio 235 che subisce interamente la fissione produce circa 8 x 1010 joule, ossia quanto la combustione di circa 3 tonnellate di carbone): il processo inverso è invece più difficile da ottenere perché per trasformare l'energia in massa ci vuole una grande quantità di energia concentrata come per esempio un raggio gamma che impattando su di un nucleo atomico dia corpo alla produzione di una coppia di elettrone (materia) e positrone (antimateria).

Sappiamo anche che un raggio gamma non è altro che un onda elettromagnetica, come un raggio di luce od un onda radiofonica, solo molto più energetica, e ne possiamo dedurre che quindi ogni cosa che ci circonda è in pratica energia che si manifesta in forme diverse fino al suo aspetto più condensato che noi percepiamo come massa e quindi materia.
Se tutto nell'universo è riconducibile all'energia come componente primordiale, possiamo immaginarci in qualche modo che struttura possa avere una cosa così sfuggente ed impalpabile?

Utilizzando l'esempio del fotone cioè il "quanto di energia" od ancora il più piccolo pacchetto di energia con cui possiamo interagire, ed avendo dopo decenni di esperimenti verificato che si comporta sia come un corpuscolo ma anche come un onda, proviamo ad immaginare l'energia come lo scorrere di un onda: in fondo l'increspatura osservata sull'acqua cos'è se non altro che energia allo stato puro che si propaga attraverso il movimento delle molecole?
Ed ecco il mistero più grande: in che mezzo si propaga l'onda energetica dei fotoni nell'universo?

lunedì, dicembre 24, 2012

Materialmente vuoti


Senza dubbio la scoperta dell'anno in ambito scientifico è quella fatta al CERN sull'esistenza di una nuova particella, in particolare un bosone, importante soprattutto perché, già teorizzata, la si stava cercando da anni con tutti i mezzi a disposizione. Perché tanto accanimento nella ricerca di un minuscolo mattoncino senza pur essere certi della sua esistenza? Qualcuno aveva battezzato l'ineffabile bosone di Higgs coma la "particella di Dio" forse anche a causa della centralità che ha avuto nella fisica del microcosmo degli ultimi anni, o forse perché dietro la sua comparsa si cela il segreto della massa, cioè dell'esistenza stessa della materia come tutti siamo abituati ad osservare nel mondo che ci circonda.

Il rischio però per noi comuni ignoranti, dopo gli altisonanti nomignoli ed il clamore della scoperta, è di confondere ciò che è massa con quello che invece di massa non ne ha proprio; a tal proposito è molto interessante il video girato da alcuni studenti dell'Università di Trento che provano a calcolare la massa effettiva di una persona che pesi circa 76 kg: il risultato è veramente inaspettato visto che sommando la massa degli elettroni e dei quark che ci compongono deriva una massa effettiva di circa 1 kg (che corrisponderebbe alla massa sviluppata dall'interazione con il teorizzato campo di Higg e la sua "particella di Dio"). E gli altri 75 kg che fine fanno? Com'è possibile che solo una così piccola percentuale di massa trovi spiegazione in quella che è stata definita la scoperta più importante degli ultimi 10 anni? La verità è che già sappiamo molto sugli scomparsi 75 kg e su come sia fatta la materia: innanzi tutto ricordiamoci che nonostante le apparenze siamo per lo più vuoti, o meglio ogni singolo atomo che compone la materia è praticamente vuoto, un granello che fa da nucleo e delle nuvole elettroniche che creano una sorta di scudo di energia che ci dà l'impressione che l'atomo sia consistente; il nucleo a sua volta è composto da quark tenuti insieme da elastici indistruttibili chiamati gluoni (anch'essi senza massa) e quindi parzialmente vuoto pure lui.

Possiamo quindi affermare che i 75 kg dello studente (il 99% della materia) sia in pratica energia cinetica di elettroni e gluoni e che questa energia condensata, in un corpo diventi per noi "percezione" di massa secondo la nota relazione E=mc2 (l'energia non è altro che massa per velocità della luce al quadrato); rimaneva ancora da spiegare quel chilogrammo e grazie all'intuizione di alcuni fisici, 50 anni or sono, sembra che il dilemma sia in fase di risoluzione anche se mancano ancora tasselli importanti per definire con certezza che ciò che si è scoperto sia effettivamente ciò che cercavamo. D'ora innanzi però, quando saliamo sulla bilancia col terrore di un chilogrammo di troppo, teniamo bene a mente che quello forse è l'unico chilogrammo che ci rimane.

sabato, dicembre 22, 2012

Velocità della luce: più lenti non si può (parte 1)


L'idea o meglio la constatazione alla base della relatività ristretta è quella che vede la velocità della luce come un limite massimo invalicabile; tale convinzione nacque già alla fine dell'800, quando Michelson e Morely allo scopo di provare l'esistenza dell'etere, si accorsero che la velocità della luce era costante da qualsiasi punto di riferimento si provasse a misurarla.
In pratica se stessimo viaggiano su di un moderno treno ad una velocità di 300 km/h ed incrociassimo un impulso luminoso che viaggia in direzione opposta, misurando da passeggeri la velocità "percepita" di tale impulso ci aspetteremmo di trovare che la velocità osservata fosse quella della velocità della luce sommata ai 300 km/h; per capirci la velocità percepita o relativa è spiegabile con quella sensazione che abbiamo provato tutti su di un treno alla stazione guardando il treno sul binario vicino e non riuscendo a capire quale dei due si stia effettivamente muovendo:
sommando la velocità del treno fermo (zero) con quella del treno in partenza (esempio 10) e ottenendo lo stesso totale (10) da entrambe i passeggeri dei due treni, non si può sapere quale dei due sia fermo se non osservando un terzo sistema di riferimento (ad esempio il marciapiede). 
A grande sorpresa, nel caso del impulso luminoso, i rilevatori di velocità sopra il treno segnalerebbero, come somma delle due velocità, sempre solo la velocità della luce (1.054.052.849 km/h) e non la velocità del treno sommata a quella della luce. E se il treno andasse ad una velocità prossima a quella della luce? La risposta è sempre uguale, alla faccia di Newton e Galileo, al massimo si registrerebbe un impulso luminoso che va alla velocità della luce: quindi a velocità elevate il principio di relatività spaziale non sembrerebbe più valido.


Da questo assunto è partito Einstein nella stesura della sua teoria, senza andare troppo a scavare sulle cause di un fenomeno apparentemente inspiegabile ed illogico, ma sviluppando da questo dato oggettivo una formidabile serie di previsioni teoriche e di risultati eclatanti, primo tra tutti che il tempo non è assoluto ma è relativo all'osservatore. Infatti per spiegare come possa accadere che un fenomeno che nella quotidianità risulta essere perfettamente concordante con le osservazioni, quale la somma o la differenza delle velocità di sistemi di riferimento in movimento, diventi un rompicapo  inestricabile, si deve introdurre la relatività temporale, soprattutto per sistemi di riferimento che viaggiano a velocità molto elevate (il nostro treno Vs l'impulso luminoso); in questo modo chi percorre tragitti a velocità prossime a quelle della luce rallenta il proprio orologio all'occhio di chi viaggia più lentamente.


Ogni singola particella dell'universo vive un tempo relativo legato alla sua condizione di velocità il che è traducibile con la seguente affermazione: l'orologio di ogni singola particella scandisce il tempo in relazione alle interazioni che la particella stessa subisce dai campi che la circondano. Infatti ciò che noi chiamiamo accelerazione dipende essenzialmente dalla massa e dall'energia che possiede la particella (o l'insieme di particelle) e cioè dalla presenza dei campi elettromagnetici, gravitazionali e di Higgs (la definizione di campo è qualcosa di complesso ma possiamo immaginare un fluido che permea lo spazio con certe caratteristiche e densità). E se i campi non ci fossero?
I fisici sono d'accordo sul fatto che senza campi le particelle sarebbero condannate a viaggiare tutte alla velocità della luce, riempendo un "non tempo" e forse un "non luogo" di scie di energia ricurve su se stesse, un posto inimmaginabile in cui più lenti della luce non si può. (continua)

lunedì, dicembre 17, 2012

Relativamente alla relatività


Difficile immaginarsi come la relatività einsteiniana possa influire quotidianamente sulle nostre vite eppure, ormai si è detto e ridetto, uno degli oggetti Hi-Tech più comunemente diffuso come il GPS, funziona correttamente grazie agli aggiustamenti dovuti alla teoria del tempo relativo; in pratica gli orologi atomici presenti a bordo dei satelliti del Global Positioning System non scandiscono i secondi allo stesso ritmo di quelli sulla terra bensì subiscono due diversi effetti relativistici, uno dovuto alla velocità del satellite (secondo la teoria della relatività ristretta l'orologio rallenta di 7 microsecondi ogni 24 ore) ed uno dovuto ad una minore curvatura dello spazio-tempo a livello dell'orbita (secondo la teoria della relatività generale l'orologio accelera di 45 microsecondi ogni 24 ore); il secondo effetto è quello meno conosciuto anche se è quello preponderante, e si spiega con il fatto che più un orologio è vicino ad un centro di gravità (per non pagare il copyright a Battiato diciamo ad una massa gravitazionale) e più rallenta, cosi che gli orologi sui satelliti, essendo a maggiore distanza di noi che siamo sulla superficie terrestre, viaggiano più velocemente (con la buona pace di chi risiede in montagna e vive mediamente nell'arco di una esistenza  un secondo in meno di chi sta al mare).


Diciamo per completezza che la teoria non spiega l'origine del fenomeno ma ne prevede il comportamento in maniera strabiliante, a tal punto che da essa si è potuto ricostruire l'evoluzione gravitazionale dell'universo fino a pronosticare l'esistenza del big bang, la genesi iniziale; in fondo tutta la fama che ha circondato ed ancora investe la figura di Einstein è meritata se pensiamo a quante conferme della teoria, vecchia ormai 100 anni (ma anche più vecchia se fossimo nello spazio siderale), abbiamo potuto osservare nei decenni a seguire: ma come facciamo noi a digiuno di matematica ad immaginare un meccanismo tanto curioso quanto lontano dalla nostra esperienza?

Torniamo ad una analogia che ritengo proficua, quella dei due filmati girati e poi proiettati parallelamente ma questa volta immaginiamo di essere gli attori principali della pellicola: il primo film lo abbiamo girato sulla Stazione Spaziale Internazionale mentre il secondo, con stessa sceneggiatura, sulla terra all'interno del simulatore che riproduce in maniera identica la stazione orbitante. Poi dovremmo sincronizzare i motori delle due telecamere tenendo conto dei due effetti prima descritti a proposito del GPS e quindi dovremmo far girare la pellicola sulla stazione in orbita più lentamente (45 microsecondi ai quali sottrarre i 7 sarebbero 38 microsecondi ogni 24h). Quale sarà il risultato quando proietteremo alla velocità terrestre le due pellicole girate nei due ambienti apparentemente uguali?
Vedremmo quello che è successo relativamente all'osservatore terrestre, e cioè nel filmato girato in orbita la scena avrebbe un "effetto comiche" con gli attori che si muovono velocemente, mentre il filmato girato sulla Terra avrebbe una velocità corretta (in realtà la differenza è talmente piccola che non percepiremmo la differenza ad occhio nudo ma pensiamo di esaltarne l'effetto);
dobbiamo però aggiungere che basterebbe cambiare il punto di vista (guardando l'effetto da chi sta sulla stazione in orbita), accelerare di 38 microsecondi la ripresa fatta sulla Terra,  e vedremmo il filmato girato nella scenografia del simulatore spaziale andare al rallentatore.

martedì, dicembre 11, 2012

E pur si muove... il tempo


Se vedessimo contemporaneamente due proiezioni cinematografiche, apparentemente identiche, rappresentanti una stanza piena di oggetti a prima vista immobili, e ci chiedessero in quale delle due il tempo scorre ed in quale no, la nostra attenzione andrebbe agli oggetti presenti, magari un orologio da tavolo, per poi poter affermare che il film in standby è quello in cui le lancette non si muovono. In effetti anche nella realtà del nostro universo la freccia del tempo è scandita dalla presenza di una continua evoluzione cinetica che chiamiamo entropia: molto spesso si associa al termine entropia anche la parola disordine nel senso che l'evoluzione dell'universo, secondo le teorie più accettate, è stata una ascesa al caos, dal primordiale punto in cui il "tutto" era concentrato, per poi evolversi grazie al big bang in quello che oggi possiamo osservare come una disordinata distesa di vuoto, materia, energia e chissà cos'altro.


Quindi quella che noi percepiamo come freccia del tempo, o meglio scorrere del tempo, è un susseguirsi di interazioni tra le componenti che riempono lo spazio, partendo da quelle invisibili come il campo magnetico, quello gravitazionale, il campo di Higgs (l'ultimo arrivato), fino ad arrivare alla materia vera e propria; un immagine che per esempio tutti abbiamo del tempo che si ferma è quella di un luogo congelato, e non a caso visto che le interazioni a noi più comprensibili sono quelle legate all'energia termica; ma cosa succederebbe se potessimo congelare allo zero assoluto (-273 °C) una stanza, proprio quella del film che guardavamo prima?
Le lancette dell'orologio da tavolo si fermerebbero sicuramente, visto che gli ingranaggi sfruttano l'attrito per propagare il loro movimento, ma se al suo posto ci fosse un orologio atomico, uno di quelli che sfruttano il decadimento radioattivo per calcolare lo scorrere del tempo?
Sicuramente l'orologio atomico (tralasciamo la parte elettronica e considerando un orologio atomico ideale) continuerebbe a funzionare anche se congelato: infatti il defluire del tempo non è influenzato dalla temperatura in alcun modo, mentre sappiamo grazie alla relatività che è influenzato dalla velocità di chi lo sta misurando.
Ricapitolando in due righe la relatività ristretta, sappiamo con certezza dalla teoria di Einstein e da numerose prove sperimentali, che più  un orologio viaggia velocemente e più il tempo per esso scorre lentamente, e che questo rallentamento diventa evidente a velocità prossime a quelle della luce.

Ma torniamo un momento alla stanza ghiacciata: che cos'è che ancora si muove (e quindi permette lo scorrimento del tempo) tra gli oggetti apparentemente immobili? Sicuramente gli elettroni nelle loro nubi elettroniche intorno ai nuclei, certamente i quark tra i gluoni che compongono i protoni, e magari qualcosa di ancora più piccolo all'interno degli stessi: sottratta tutta l'energia termica, l'universo microscopico è ancora vivo e vegeto anche se noi non lo possiamo percepire.
A questo punto sembrerebbe chiaro che se c'è qualcosa che deve rallentare, quando la stanza stesse viaggiando ad una velocità molto elevata, sarebbero proprio gli elettroni e le altre microscopiche particelle che compongono la materia conosciuta: in pratica esiste un sottolivello entropico ancora tutto da scoprire e decifrare.

domenica, dicembre 09, 2012

L'atomo scolastico e quello stocastico

Sfogliando un vecchio libro delle scuole superiori, mi è rimasta impressa l'immagine celeberrima ed inflazionata di un nucleo con le orbite e gli elettroni che gli girano intorno, insomma la rappresentazione che è diventata una icona di ciò che, quasi la totalità degli individui (nel senso di persone e non di indivisibili), pensa sia effettivamente un atomo (nel senso di indivisibile e non di individuo); d'altronde è talmente potente l'analogia con un sistema planetario e con le leggi gravitazionali che lo regolano che è più facile pensare che la fisica del micro e quella del macro siano già belle che unificate, almeno nei nostri pensieri, e che sia più facile insegnare ad un ragazzino un modello semplificato e facilmente comprensibile invece di introdursi tra le pieghe della scienza di confine, quella in divenire, ancora piena di domande e di perché senza risposta.

Io credo invece che la fantasia di un giovane sia più propensa ad assimilare concetti astratti ed a catalogarli meglio di un adulto, e che forse sarebbe opportuno disfarsi progressivamente dell'immagine stereotipata del atomo di Rutherford, che pur ben ai suoi tempi aveva innescato l'escalation alla comprensione del infinitesimamente piccolo. Ma con quale immagine altrettanto rappresentativa possiamo sostituire quella attualmente abusata?

La più "realistica" è sicuramente quella in cui sono visibili le nuvole elettroniche con la loro distribuzione di probabilità, o più semplicemente con lo spazio in cui sarebbe possibile trovare l'elettrone se lo andassimo a cercare (guarda come si crea la nuvola elettronica).
Certo che è un immagine meno affascinante e forse meno impattante di quella di Rutherford ma la realtà a volte non è invitante come la nostra fantasia vorrebbe che fosse;

eppure ci vuole non poca immaginazione per spiegare come l'elettrone si muova in modo casuale all'interno di quelle nuvole di probabilità e per giustificare il fatto che lo faccia per miliardi di anni senza mai cadere sul nucleo atomico o senza scappare lasciandolo per sempre: infatti gli atomi più semplici, quelli che compongono la maggior parte della materia che conosciamo, sono stabili o meglio lo sono da quando sono stati creati dopo il bigbang, e l'uomo non è mai riuscito ad osservare un decadimento per esempio di un atomo di idrogeno.
Quindi siamo alle prese con un "oggetto" in continuo movimento (l'elettrone che sfreccia all'interno degli orbitali) ma che non perde mai la sua energia primordiale per continuare questo balletto quantistico intorno al nucleo: un bel mistero!

martedì, dicembre 04, 2012

La prima legge della natura

I confini della conoscenza non sono mai stati così labili come ai nostri giorni: in un secolo o poco più gli scienziati hanno fatto luce su meccanismi che prima erano solo palpabili a livello filosofico e, pur rimanendo da spiegare molto della natura che ci circonda, la sensazione è che sia solo questione di tempo e di risorse ed altre risposte arriveranno. Fino a che punto possiamo sperare di indagare nel macrocosmo e nel microcosmo? Non si possono conoscere a priori i limiti della ricerca ma si possono prendere in considerazione degli scenari in cui purtroppo le informazioni che servirebbero a dare delle spiegazioni non siano più disponibili all'uomo rendendo vano ogni sforzo: un semplice esempio può essere rappresentato dall'estinzione di un animale avvenuta in un periodo così distante da noi da non permettere neanche ad un osso fossilizzato di giungere ad oggi integro ed impedendo ogni sforzo di ricostruzione a posteriori.

Come ottimamente relazionato da Brian Greene nell'ultima parte del suo spazio al TED di quest'anno, l'impossibilità di reperire informazioni potrebbe avvenire anche a livello cosmologico; supponiamo di vivere in un futuro in cui l'espansione dell'universo abbia allontanato le galassie l'una dall'altra a tal punto che la luce non abbia il tempo di raggiungere il nostro pianeta: vedremmo il cielo praticamente buio (tranne la Via Lattea) e dovremmo presupporre che l'universo sia composto solo dalla nostra galassia (che invece all'epoca attuale sappiamo bene non essere cosa vera).
Sono solo due esempi dei limiti in cui la ricerca dell'uomo può imbattersi nella scalata alla conoscenza del nostro universo, ma un altra spada di damocle pende da sempre sulle teste dei ricercatori: ma come è possibile che le costanti fondamentali che regolano i meccanismi delle leggi fisiche e quindi della natura abbiano dei valori così precisi da permettere l'esistenza di tutto ciò che conosciamo? Se fossero diversi in percentuale anche solo di qualche milionesimo l'universo non potrebbe esistere come lo conosciamo? Gli studiosi ci dicono che l'equilibrio perfetto in cui l'universo si trova attualmente è talmente delicato che sembra effettivamente improbabile che sia del tutto casuale: non ci resta che teorizzare un intervento divino?

Senza entrare nei meandri del rapporto tra scienza, fede e teologia, sarebbe meglio estendere alcuni concetti scientifici e scoperte, ormai date per assodate (tranne per i creazionisti più ottusi), all'universo intero ed alle leggi che lo regolano; se infatti le prove dell'evoluzionismo sono inconfutabili per la comunità scientifica, possiamo pensare che la natura abbia intrinseca come sua regola fondamentale quella della continua ed infinita reiterazione di tentativi, con innumerevoli variazioni, che hanno portato a livello biologico il prosperare delle più svariate forme di vita sulla terra, mentre a livello macroscopico possiamo osservare l'infinita varietà di sistemi stellari e galattici.
Ed a livello microscopico? Dalla scoperta della prima particella fondamentale, l'elettrone, i ricercatori hanno assistito, nell'esplorazione, al proliferare di una enorme varietà di mattoncini, a tal punto da denominarla "zoo delle particelle", e ci sono voluti decenni per mettere ordine in un caos che sembrava insensato; in realtà la materia che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi è composta solo da tre di questi pezzettini fondamentali (elettrone, quark up e quark down) ma ciò nonostante la natura contempla l'esistenza di altri inutili pezzettini, di un po' di antimateria, con ogni probabilità delle particelle super-simmetriche (che per ora sono pero solo teorizzate), della materia oscura e dell'energia oscura. Non è forse realistico pensare che anche nel microcosmo la natura segua l'unica legge fondamentale, quella di creare la più grande varietà possibile di oggetti, per poi tentare ogni combinazione che possa risultare stabile e che permetta a sua volta un evoluzione? Se così fosse avrebbe anche senso il principio antropico, secondo il quale tutta la perfezione che osserviamo è tale solo per il fatto che noi esistiamo ad osservarla, e quindi anche l'uomo è il frutto di una infinita serie di tentativi che la natura ha dovuto sperimentare per cercare di raggiungere un livello evolutivo più elevato: per dirla in poche parole credo fermamente che tutto ciò che osserviamo sia il risultato del caos e non di un progetto intelligente, e che il disordine sia l'unica fondamentale legge della natura. No disordine = No evoluzione.


sabato, dicembre 01, 2012

Un bosone per caso

E' stato un caso fortuito quello che mi ha coinvolto emotivamente alla notizia che era stata scoperta una particella con caratteristiche molto simili a quelle del ricercatissimo bosone di Higgs: fantastici bosoni, oggetti sconosciuti ai più, che hanno avuto la loro ribalta questa estate su tutti i media per poi tornare nell'oscurità poco dopo.
Tutto è ricominciato un paio di anni fa dopo una pausa di quasi 20 anni, perché tanto è il tempo trascorso dall'ultima lezione di fisica al politecnico, e come succede spesso il caso ha voluto mettermi innanzi alla realtà che mi sono nascosto per lungo periodo, o meglio che ho utilizzato per mio comodo ma che avevo svuotato dalla passione primordiale: io adoro la fisica.
Certo, nel mio lavoro le conoscenze di chimica, meccanica, idraulica sono sempre state utili, ma un fatto è utilizzare qualche formuletta da applicare pedestremente un altro è appassionarsi alla vicende della ricerca attuale e soprattutto a quelle della storia della fisica.
Molte volte mi son chiesto che cosa sarebbe cambiato se durante i miei anni dell'apprendimento (e non è passato un secolo) ci fossero stati i mezzi tecnologici attuali, soprattutto youtube con i video ed i corsi più disparati: sono ormai disponibili online laboratori virtuali e raccolte di video di professori di tutto il mondo, fino ad arrivare a veri e propri portali che raccolgono una grande quantità di risorse in rete veramente complete ed interessanti.
In questa realtà in evoluzione, sembrerà un assurdo, i video che hanno riattizzato il mio interesse sono dei vecchi documentari realizzati negli USA credo negli anni '60, dei piccoli capolavori di divulgazione scientifica: celebri professori dell'epoca spiegano con esperimenti pratici di laboratorio come funzionano le leggi della natura, utilizzando strumenti che forse ancora oggi si trovano di rado nelle aule sperimentali delle scuole superiori italiane.

Quindi la mia domanda sull'evoluzione dell'apprendimento negli ultimi decenni sarebbe frettolosamente archiviata notando che da sempre esistono i buoni insegnanti e già dal dopoguerra la divulgazione di massa, peccato che entrare in contatto con queste due realtà (non dico contemporaneamente) ha rappresentato molte volte una probabilità troppo piccola per essere considerata come uno standard scolastico; allora la considerazione da fare è che finalmente e potenzialmente tutti possono accedere al meglio dell'insegnamento, vedere le lezioni dei migliori professori al mondo, interagire mettendo a disposizione le proprie conoscenze, selezionare la tipologia di apprendimento che meglio riusciamo ad assimilare, insomma possiamo creare una scuola su misura per ogni individuo. Questo cambiamento potrebbe spaventare le istituzioni scolastiche che con la loro struttura centenaria assomigliano più a dei ministeri che a luoghi di scambio ed evoluzione culturale, ma la società progredisce a suon di rivoluzioni e la sfida è sempre la stessa: cambiare velocemente od essere sostituiti, spazzati via dal vento nuovo.